Quest’anno non si può. Non possiamo partecipare pienamente alla Settimana Santa, alle celebrazioni del Triduo, né vivere la Confessione e la Comunione eucaristica pasquali, poiché ciò richiederebbe la presenza reale dei fedeli, con i loro corpi, nell’assemblea radunata. Senz’altro si troveranno altre fruttuose forme di “partecipazione”, ma sarebbe assurdo fingere che sarà la stessa cosa, che non ci mancherà niente. Forse, però, l’inedita situazione permette di vivere qualcosa di unico precisamente per quanto ci mancherà. L’occasione della Pasqua 2020 è straordinaria e (ci auguriamo) irripetibile per entrare in risonanza non solo con quanto Gesù ha vissuto negli ultimi giorni del suo percorso terreno, ma anche con il suo desiderio attualmente acceso.
In effetti, i Vangeli trasmettono (con sobrietà) le disposizioni interiori e persino alcuni sentimenti con cui Gesù si è avvicinato alla sua Pasqua. Per esempio, si intuisce che, quando nei giorni della festa entra a Gerusalemme in groppa a un asino e si lascia osannare, non lo fa per sete di glorie mondane, ma perché ha compassione della gente semplice e oppressa che lo accoglie come liberatore; perché vuole stare vicino al suo popolo, ai poveri che ripongono in lui le loro speranze. Su Gerusalemme, d’altra parte, Gesù esprime una parola accorata, che unisce la tenerezza di chi ama allo strazio di chi vede il suo amore rifiutato. Gesù piange sulla città, sul popolo che non ha riconosciuto il tempo in cui Dio l’ha visitato. Anche questo lamento permette di cogliere con quale intensità Gesù desideri incontrare l’umanità, radunare uomini e donne dalle loro dispersioni, guarirli, riconciliarli con il Dio che disconoscono. Luca 22, 14-‐18 conduce addirittura dentro il cuore del Signore: con un vocabolario raro, anzi unico, e in modo sorprendentemente esplicito, Gesù afferma di aver “desiderato con desiderio» – cioè bramato con tutto sé stesso – di celebrare la Pasqua con i suoi, prima della sua passione. E aggiunge che questa Pasqua tanto desiderata sarà per lui l’ultima: in seguito non la mangerà più «finché essa si compia nel regno di Dio», e nemmeno berrà più del frutto della vite «finché non verrà il regno di Dio».
Tale dichiarazione è difficile da intendere. Chi prova a penetrare il senso di queste parole misteriose potrebbe uscirne sconvolto. Forse Pascal ne ha intuito il valore azzardando il suo «Gesù sarà in agonia fino alla fine del mondo» (Pensées, 553, Brunschvicg). Gesù sta qui esprimendo solennemente la sua volontà di astenersi dal “celebrare” la vittoria finale fino a che tutti vi abbiano preso parte. Gesù sta dicendo che non “festeggerà” da solo in cielo, dimenticandosi di quanti ancora avanzano nella polvere del pellegrinaggio terreno. Il compimento del regno lascia anche lui in attesa di noi. La parabola del padre misericordioso forse illumina questa disposizione (cf. Lc 15). Quando il figlio prodigo ritorna a casa, il padre dà sì inizio alla festa, ma al tempo stesso si ostina a uscire per invitare chi ancora non è entrato. Per il Padre, la festa sarà piena solo quando tutti i suoi figli e figlie saranno riuniti. Gesù, celebrando la sua ultima Pasqua, confida ai suoi che rimarrà con il suo desiderio acceso fino a quando il regno sarà compiuto, realizzato per tutti. Quel regno che è stato il cuore della sua missione, il centro del suo annuncio missionario, l’insegnamento cardine della sua preghiera.
In questo senso, dunque, la Pasqua 2020 – che ci lascerà in qualche misura affamati – non ci vedrà lontani da Gesù, ma anzi particolarmente vicini al suo cuore appassionato. Stretti ai desideri che lo hanno accompagnato nel momento più trepido della sua vita. Quei desideri che, ci ha confidato, manterrà vivi anche quando avrà ottenuto la vittoria pasquale. Sì, tra una settimana saremo obbligati a non festeggiare appieno: nella migliore delle ipotesi (come dimenticare i molti che saranno ancora nelle più grandi sofferenze?), ci toccherà restare in casa, abitando l’attesa di poterci riunire, struggendoci per l’assenza di tante persone amate, del loro corpo da abbracciare. Ma anche quando, passata l’emergenza, ci ritroveremo nelle piazze e nelle assemblee, non dovremo dimenticare che anche allora staremo vivendo un’attesa fondamentale, quella che la distrazione dell’ordinario benessere spesso relega sullo sfondo. Quella di poterci tutti – vivi e morti, sani e malati – riunire nel regno di cui invochiamo la venuta in ogni Padre Nostro e per il quale ci mettiamo instancabilmente all’opera. La partecipazione alla Pasqua 2020, preparata con una Quaresima di quarantena, sarà straordinaria per la sua capacità di farci sentire l’intero pianeta incamminato verso il regno. La nostra fame che non troverà sazietà, la nostra sete che non conoscerà appagamento, servano allora ad alimentare il desiderio del compimento sperato. Purifichino questo desiderio, lo amplifichino e lo sostengano, perché ciascuno possa – non certo per magia – uscire migliore da questa crisi. Convertito. Sapiente. Acceso d’amore. Che sarebbe unire beffa a danno l’uscirne banalmente uguali a prima.
In effetti, la quasi obbligata – “cirenaica” – condivisione del desiderio di Gesù, trasparenza di ciò che il Padre cerca, invita ciascuno ad appropriarsi del tumulto di passioni e desideri che lo abita. Da una parte per non spegnerli, soffocandoli in scelte minimaliste e di corto respiro, dall’altra per non lasciarli andare in maniera disordinata e distruttiva. Ci è offerto di comprendere, con la serietà radicale che le tragedie impongono, che cosa veramente vogliamo dalla vita. In questo tempo di forzata clausura, possiamo chiederci che cosa ci manca assolutamente, al di là di ciò di cui patiamo l’assenza e sentiamo il bisogno. Certo che contano la vicinanza dei propri cari, l’aiuto dato e ricevuto, l’appartenenza a un gruppo, il sostegno di una comunità, l’esplosione manifesta degli affetti. Contano molto. Ma qual è per me l’assoluto della vita? Che cosa ultimamente voglio per la mia vita? Sto vivendo in modo corrispondente al mio desiderio più profondo? Perché faccio quello che faccio: al lavoro, in famiglia, con i più prossimi? Quando mi rivolgo a Dio nella percepita fragilità dell’umana condizione, nella mia nuda verità, qual è la cosa che gli chiedo? Il deserto di questa Quaresima – obbligato per certi aspetti, ma che non ha potuto impedirmi la scelta di essere discepolo di Gesù Cristo – in che modo ha trasformato il mio desiderio? Come lo ha purificato e semplificato? Come lo ha intensificato? Come lo ha orientato e conformato al suo, che è amore acceso per noi tutti, fino alla fine dei tempi?