Il sogno ecclesiale è quello che dura di più, fino al mattino, alimentato com’è dai primi tre (sociale, culturale, ecologico, ndr). Vi danzano le note di una Chiesa missionaria, profetica, samaritana che già l’Instrumentum laboris aveva tratteggiato e il Sinodo per l’Amazzonia ripreso e approfondito. Sono tratti di Chiesa che vengono a qualificare nuovi cammini.
La Chiesa missionaria, innanzitutto. La Chiesa missionaria annuncia il Vangelo nel suo cuore e nella sua integralità, secondo il suo profumo. Siccome in lei continua la missione di Gesù Cristo stesso, il sigillo immancabile della qualità divina della sua missione sarà l’evangelizzare i poveri (cfr. Querida Amazonia – QA 63), tessendo sull’ordito del Vangelo la novità dell’amore fraterno (cfr. QA 65). Annunciando il Vangelo di Gesù, la Chiesa missionaria si astiene dall’imporre una cultura aliena; piuttosto, presentendo il respiro del Verbo eterno in quelle culture precolombiane con la loro «felice sobrietà», evangelizza popoli e assetti culturali e da essi, insieme, si lascia interrogare e arricchire per una sempre più aperta adesione a quel Vangelo che mai, in terra, sarà adeguatamente compreso e realizzato (cfr. QA 66-74).
Solo per questi cammini pazienti accade l’incanto di una «santità amazzonica» (QA 77-80), che matura nell’assunzione e trasfigurazione di miti e simboli, di feste e moduli etici, con le loro promesse, i loro limiti, le loro ambiguità. La Chiesa missionaria comunica il Vangelo secondo la passione apostolica della pentecoste. Il fuoco pentecostale investe i discepoli nella «stanza al piano superiore»: secondo la tradizione, legata al racconto di Luca, la stanza superiore del cenacolo. Non c’è nessuna Chiesa missionaria in Amazzonia, non c’è nessuna effusione pentecostale della parola che annuncia Gesù Cristo, che non abbia la sua radice, il suo culmine e la sua fonte nella memoria eucaristica. È in quella stanza del piano superiore che avviene l’ultima cena; ed è in quella stanza che, allora, può prendere corpo l’impeto pentecostale provocato dallo Spirito di Dio.
Profetica la Chiesa che trapela dal sogno di Francesco. Già nel sogno sociale appariva una Chiesa che si indigna e non teme di alzare la voce. È la Chiesa che forma un solido con quel grido della terra che è tutto intrecciato con il grido dei poveri, anche a costo di diventare una Chiesa ancora più povera, ancora più marginalizzata e screditata.
Ora, nel suo ultimo sogno, Francesco lega la profezia della Chiesa alla capacità di onorare la centralità dell’Eucaristia per ogni comunità cristiana della terra amazzonica (cfr. QA 81-84). «Nell’Eucaristia, Dio “al culmine del mistero dell’Incarnazione, volle raggiungere la nostra intimità attraverso un frammento di materia. […] [Essa] unisce il cielo e la terra, abbraccia e penetra tutto il creato”» (QA 82): non vale a ogni latitudine questo invito a inculturare la liturgia? Non smette di risuonare nel cuore del Papa «la proposta di elaborare un “rito amazzonico”» (QA 82, nota 120). Nell’Eucaristia la comunità cristiana rende grazie per il corpo santo e offerto in sacrificio di Gesù e per tutto quanto (l’uomo e la natura tutta) in esso trova la sua verità e di esso è segno e riflesso, avendone ricevuto la stessa forma di dono divino, di alimento vitale, a servizio di tutti. Coerentemente la Chiesa profetica provvederà alla presenza più cospicua di missionari, garantirà forme rinnovate di ministerialità laicale, custodendo il ministero sacerdotale come l’unico abilitato a presiedere l’Eucaristia (cfr. QA 87).
In proposito, i punti fermi del sogno di Francesco sono almeno due. Da un lato, «il modo di configurare la vita e l’esercizio del ministero dei sacerdoti non è monolitico e acquista varie sfumature in luoghi diversi della terra»; dall’altro, la configurazione del sacerdote a Cristo capo non cela alcuna contrazione superbamente dispotica del ministro nei confronti della comunità cristiana. Al contrario, egli, conformato al Cristo che effonde la grazia senza misura, al Giordano e alla mensa dei peccatori, tra le pecore senza pastore e sulla croce, veglierà perché la disciplina ecclesiale sia secondo l’ordine del Vangelo, non dettata da logiche di discriminazione ed esclusione (cfr. QA 84). La Chiesa profetica valorizza le migliori energie e le migliori risorse umane, a partire dalla massiccia presenza delle donne in quelle Chiese (cfr. QA 99-103); là e nel mondo intero la forma del corpo di Cristo brillerà ancora più luminosa nella Chiesa, grazie alla forza e alla tenerezza di donne stabilmente dedicate in servizi ecclesiali, densi della stessa carne tenera di Gesù.
La Chiesa samaritana è la Chiesa della compassione, secondo l’icona del buon samaritano. La si scorge, come in filigrana, già nei primi tre sogni del Papa. In fondo, è la Chiesa che recupera il primato della «carità della presenza» rispetto alla «presenza della carità». Alle molteplici forme di una presenza di carità dobbiamo anteporre quella carità che è sempre previa e fondativa: la carità della presenza, la carità che è la presenza. La presenza è la prima forma della carità: anche quando le tue mani, prima di poter fare qualcosa, sono lì a tremare, anche quando i tuoi occhi – prima di immaginare e progettare opere e parole – piangono, piovono lacrime di notte e di giorno, di fronte alla calamità che investe i più poveri, che provoca trafitti di spada e orrori della fame. C’è un prima, che è la carità della presenza: quella carità che lascia riecheggiare l’«Eccomi» messianico di Gesù. La presenza: come madre dolorosa, la Chiesa sta. Con la Vergine Madre, sta presso la croce del Figlio benedetto, sta nella terra crocifissa dell’Amazzonia: non da sola, ma in una convivenza ecumenica e interreligiosa (cfr. QA 106-110) dove il dono di profonde sintonie propizia domande di carità divina: «Come non lottare insieme? Come non pregare insieme e lavorare fianco a fianco per difendere i poveri dell’Amazzonia, per mostrare il volto santo del Signore e prenderci cura della sua opera creatrice?» (QA 110).