Lo sguardo di chi ha cancellato Dio e le sue promesse forse vede l’umanità e la sua storia come un formicaio dove i viventi si agitano frenetici e precari. Per quanto, come le formiche, abbia un suo compito e segua una sua direzione, l’insieme è lo spettacolo di un mondo insensato di esseri insignificanti. Gli uomini e le donne possono anche presumere di essere importanti e di compiere grandi imprese. In realtà poi tutti passano e il formicaio continua la sua vita frenetica e precaria.
Chi invoca Dio e ascolta la voce dei suoi profeti considera la vicenda umana come una vocazione alla salvezza, si attende che si compia la promessa: la gloria del Signore sarà sopra ogni cosa come protezione (Is 4,5). E mentre la terra geme e sospira la salvezza, chi ascolta le Scritture riconosce: al momento però non vediamo ancora che ogni cosa sia sottomessa e posta al servizio della partecipazione dell’uomo alla gloria di Dio.
Non vediamo il compimento. Il credente cammina perciò nella fede e nella fede contempla la gloria di Gesù: tuttavia quel Gesù lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti (Eb 2,8-9).
Come dunque stanno insieme il “non vedere ancora” e il “vedere” Gesù coronato di gloria e di onore?
In questo chiaroscuro della storia camminano i pellegrini di speranza: si fidano della promessa e vivono i loro giorni come un pellegrinaggio verso l’incontro con il Signore della vita e della gloria.
Il cammino attraversa il deserto. L’interpretazione mondana dei fatti li mette alla prova perché raccoglie facilmente obiezioni e smentite delle promesse. Come dunque potranno continuare il cammino i pellegrini di speranza?
Sanno riconoscere indizi che le promesse di Dio sono affidabili.
Un primo segno, per quanto paradossale possa essere, è la smentita delle aspettative e la contestazione dei pregiudizi. Dio infatti compie le sue promesse in Gesù, il benedetto, colui che viene, il re nel nome del Signore. E la rivelazione della regalità di Gesù è sconcertante. Più volte si ripete: il Signore ne ha bisogno (Lc 19,31.34). Ecco come si manifesta la potenza di Dio che salva, la gloria del Figlio: come un uomo che ha bisogno, che chiede a prestito un puledro per l’ingresso nella città santa.
La povertà di Gesù di Nazaret è anche rivelazione di quello che gli uomini possono fare: sono chiamati a collaborare alla manifestazione della regalità del Signore.
La scena evangelica dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme è quindi motivo di stupore: questo è il nostro re! E questi siamo noi, povere creature che possono dare al creatore l’asino di cui ha bisogno.
Un secondo segno, per quanto possa essere improbabile, è la gioia dei discepoli. È misteriosa la gioia degli amici di Gesù, ma forse è l’unica vera gioia: non è la soddisfazione del successo di un momento, non è la gratificazione di una ambizione o il compimento di un desiderio. La gioia è un dono imprevedibile, che ha probabilmente a che fare con l’amore. Può essere quindi vera, duratura, profonda se sorge dall’amore vero e perfetto, quello di Dio. I discepoli pieni di gioia lodano Dio per tutti i prodigi che hanno veduto: sono stati con Gesù nei momenti della popolarità e nei momenti della contestazione, nelle manifestazioni clamorose e nella solitudine. Hanno ricevuto le confidenze di Gesù.
Un terzo segno, per quanto arduo possa essere, è la decisione della conversione. I pellegrini di speranza infatti non sono quelli che si avanzano con la pretesa di meritare quello che Dio ha promesso. Sono piuttosto quelli che si domandano, come suggerisce il Salmo 23: chi potrà salire il monte del Signore? Chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non si rivolge agli idoli, chi non giura con inganno. Chi vuole avvicinarsi al Santo si convince che deve santificarsi, non come frutto di una presuntuosa conquista, ma con la lieta disponibilità all’opera di Dio.
Mentre la cronaca sembra dar torto ai pellegrini di speranza, essi hanno deciso di seguire Gesù e sperimentano l’affidabilità della promessa di Dio nella sconcertante povertà di Gesù, il re d’Israele, nella gioia sorprendente, nella decisione della conversione.