Quali competenze desidera ottenere un laico che sceglie di formarsi alla scuola dell’Azione Cattolica? Nel panorama variegato e ricco di proposte che è l’oggi, anche un’associazione che compie 150 anni di vita – per ragioni storiche in molti decenni è stata l’unica forma riconosciuta di educazione dei laici cristiani in seno alla Chiesa – deve essere pronta a dire le sue peculiarità, a offrire i suoi punti di forza per essere riconosciuta e scelta. Non viene meno il sapore vocazionale che la contraddistingue, tant’è che viene condivisa da chi è chiamato a servire la Chiesa e la storia secondo il modo proprio dell’Ac, ma sa di dover raggiungere i cuori su strade nuove, secondo la rinnovata fisionomia di questo tempo storico.
C’è una base comune che rende fratelli tutti i soggetti, personali e collettivi, che nella comunità ecclesiale esprimono la forza della vita credente nei territori della Diocesi e nelle multiformi aggregazioni laicali: l’adesione al Vangelo e l’entusiasmo di condividerlo con tutti, nelle diverse forme suscitate dallo Spirito. Non fa eccezione l’Ac, che promuove cammini spirituali esigenti, l’adesione a una regola di vita, la dignità dell’altro, la centralità del più povero, l’impegno responsabile per il bene di tutti.
E lo specifico? Una prima competenza particolare è la capacità di pensare alla Chiesa nel mondo con uno sguardo critico e consapevole, che sa porsi domande e mettersi in discussione, interrogando gli esperti della teologia, ma mantenendo linguaggio e stile popolari, includendo tutti, ascoltando tutti. C’è il desiderio che i laici cristiani capiscano profondamente la bellezza del modello di Chiesa prospettato nel Concilio Vaticano II, quello che parte dal popolo, nel quale carismi e ministeri interagiscono tra loro per un bene comune e più grande.
Un’altra competenza peculiare è la cura delle connessioni e dei legami tra le persone. In Ac si punta ad accompagnare persone credenti nello scoprire in tutti i contesti della loro vita – pastorali, culturali, civili e politici – una particolare attitudine a porsi “nel mezzo”, a far sì che le persone si parlino e si capiscano, a valorizzare le diversità senza omologarle, a portare le fatiche della comunione e a godere delle gioie che ne derivano.
Terza competenza specifica è l’amore per ciò che è di tutti: quindi il bene della città e del Paese; quindi la comunità credente che è la Chiesa popolare e diffusa della quale tutti possono sentirsi parte; quindi la quotidianità che è fatta di lavoro, scuola, amici, tempo libero, partecipazione sociale e politica, cultura, disagio e benessere, ovvero di tutti gli ambiti di vita non elitari, quelli dove tutti scoprono che il Vangelo è possibile, concreto, vitale.
Una quarta competenza specifica a cui punta nell’oggi la formazione dell’Ac è la capacità di esercitare una sana autonomia laicale, in comunione con i pastori e con tutti gli uomini di buona volontà, ma anche nella piena libertà di pensare progetti nuovi di presenza dell’unica comunità credente che si sviluppino nel caseggiato, negli ambienti di vita, nei luoghi di passaggio dove la gente possa essere invitata a fermarsi per un po’ di silenzio e condivisione.
Vanno riscoperti i progetti che derivano dai bisogni del territorio, che sanno coinvolgere destinatari nuovi e non “i soliti noti molto impegnati”, che sanno esprimere una creatività laicale che non teme la proposta in prima battuta e l’innovazione coraggiosa. Anche oggi non viene meno l’invito ad aderire all’Ac e a lasciarsi appassionare da una vita cristiana di laici che non rinunciano a pensare, capaci di interpretare una Chiesa in uscita che cammina spedita sulle strade del mondo.