Era il 4 novembre 1981, festa di San Carlo Borromeo, quando il cardinale Carlo Maria Martini, da poco Arcivescovo di Milano, iniziò la sua visita pastorale alla diocesi al carcere di San Vittore. Don Luigi Melesi, allora cappellano dell’istituto di pena, ne diede testimonianza a Luisa Bove per il libro Carlo Maria Martini. Una voce nella città (edito da Monti). Ne pubblichiamo uno stralcio.
Percorrendo il seminterrato del primo raggio, verso metà, Martini vide una porta blindata e chiusa. Volle sapere dove conducesse. Si sentì dire: «All’aria dei brigatisti». «Apritemi – disse subito il Cardinale -, voglio incontrare anche loro». E mentre direttore e comandante si guardavano in faccia, sorpresi e impacciati, la guardia aprì la porta facendo entrare l’Arcivescovo. I brigatisti, più di venti, sbalorditi dall’inaspettato visitatore, cambiarono volto: da triste e rabbioso, a disteso e gioioso. «Sono venuto a visitarvi, se non vi disturbo», disse Martini creando un silenzio affettivo intenso. Uno di loro, rompendo quel religioso silenzio, invitò il Vescovo: «Venga tra noi e ci faccia pregare». Non esitò ad entrare nella gabbia. Li salutò ad uno ad uno, poi pregò il Padre nostro. Si sentiva solo la sua voce: «Dacci il pane… rimetti a noi i debiti… liberaci…», ma dentro a quegli uomini vibrava lo spirito che ravvivava nei loro cuori quei sentimenti umani ormai sbiaditi o ammortiti. Proprio in quel momento era nato un legame sincero di fiducia vicendevole, direi di amicizia, che giorno dopo giorno è cresciuto fino alla pienezza della sua maturità.
L’arcivescovo ha voluto tornare a San Vittore per celebrare il santo Natale con la messa in Rotonda alle 8.30. Dai detenuti era atteso con grande simpatia. Quell’intensa preghiera generò nei numerosi detenuti accorsi al centro della stella carceraria un flusso vitale che ha forgiato insieme paure e certezze, dolore e gioia, disperazione e speranza, creando in loro come un unico potente insieme che li spingeva, ciascuno, a vivere e ad accettare di vivere con senso. Pur costretti all’“inferno”, quei detenuti avevano ritrovato in se stessi il cielo e Dio, l’amore e la vita.
Mentre l’Arcivescovo lasciava la Rotonda, un brigatista gli si avvicinò e gli chiese: «Che cosa farebbe un padre se un suo figlio gli chiedesse per Natare un dono?». E Martini. «Nei limiti del possibile glielo farebbe con molta gioia!». Il detenuto disse: «Allora le chiedo di venire qui a battezzare i miei due figli gemelli, sono in carcere con noi». «Vengo molto volentieri, in qualsiasi giorno – rispose il Padre – e faremo festa».
«Ora so di nuovo che saprò superare ogni momento di disperazione», mi disse il brigatista comunicandomi la risposta dell’Arcivescovo. E il Cardinale tornò nel tempo pasquale a battezzare Nicola e Lorenza, con grande gioia di tutti.
La visita pastorale ai detenuti di San Vittore è apparsa subito un gesto controcorrente e di grande significato profetico; ma ha pure suscitato non poche critiche e perplessità da parte di chi pensava come don Abbondio: «Ecco come vanno le cose: a quel satanasso – e intendeva l’Innominato – le braccia al collo, e su nel… ma sono superiori: hanno sempre ragione».
La stima e l’amicizia che ormai legava fortemente il vescovo Martini ai detenuti aveva aperto un dialogo permanente, vero, fruttuoso. Nei giorni successivi alla visita Martini andò a trovare, in forma privatissima, alcuni figli dei detenuti ricoverati negli istituti della provincia, presentandosi come amico del papà e intrattenendosi con loro. Li rendeva più felici la sua presentazione: «Sono un amico di tuo papà» dei doni che ad essi portava.
Le lettere cominciavano a fluire in Arcivescovado anche da altre carceri. Gli incontri in incognito con i brigatisti detenuti si moltiplicavano. Il 21 giugno del 1984 quei brigatisti fecero dono al loro Vescovo di un triplice carico di armi: kalashnikov, pistole, bombe a mano, lanciarazzi, fucili a canne mozze, proiettili in quantità… come segno concreto di una voglia di riconciliazione, di resa totale, di radicale cambio di vita.
Due brigatisti, entrati clandestinamente nel Palazzo di piazza Fontana, consegnarono al segretario don Paolo nell’anticamera del Cardinale tre enormi borse restando ignoti fino ad oggi. Il “dono” era stato preceduto da una lettera firmata da Ernesto Balducchi ed altri suoi amici. Nella lettera esprimevano a Martini la loro ammirazione, la loro scoperta di una Chiesa attenta ai problemi reali della gente, promotrice di un dialogo incondizionato e annunciatrice di tempi maturi per una nuova riflessione sulla fraternità universale in Cristo e nell’umanità, in preparazione al convegno su “Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini”.
Nella lettera aderivano al progetto del convegno e chiedevano all’Arcivescovo di testimoniare la loro maturata decisione di non sottrarsi alle proprie passate responsabilità e di impegnarsi per il vero bene, presente e futuro, di tutta la comunità; inoltre mettevano nelle sue mani la loro spontanea rinuncia alle armi. Un segno chiaro, e non strumentale, di buona volontà, di disponibilità al dialogo, di determinazione nel voler risarcire pagando di persona, di alleanza con la vita e di dissociazione da ogni progetto di morte. I fatti successivi hanno confermato l’autenticità dell’impegno da loro assunto con il Cardinale.