Vivere sotto lo stesso tetto da adulti è una sfida continua, alla ricerca dei propri spazi, ma è anche un momento di grazia, dove si imparano a conoscere i propri genitori e li si scopre persone, con passioni e sofferenze. La parola a una ragazza ormai grande, che vive in famiglia.
di Elena Parasiliti
La mia casa non è un albergo. A volte potrebbe sembrarlo. Esco al mattino per seguire i corsi in Università e rientro quando l’orologio segna le 23. Mia madre è già nel mondo dei sogni, mio padre aspetta paziente davanti al computer. Appena infilo la chiave nella toppa, silenzioso si alza e va a dormire. Io mi fermo in cucina: piatto, bicchiere e posate sono già sul tavolo. Giro la manopola del microonde: tre minuti e ho la pappa pronta. La questione degli orari non è più un problema. Le abbiamo provate tutte, finché non è apparso su un muro della cucina un calendario. «Per favore, segna quando non ci sei»: l’ultimatum materno ha risolto ogni tensione e decretato la fine della cena di famiglia davanti al tg delle 20.
I tempi cambiano e noi ci adeguiamo, inventando tempi e modi alternativi per incontrarci a metà strada. Il caffè del mattino, la biancheria da stendere, il passaggio in auto diventano occasioni per stare insieme. Così le confidenze scivolano tra un lenzuolo da piegare e i commenti sul mondo si scambiano fermi a un semaforo.
Tutti i giorni entro, esco, saluto e ringrazio. Eppure la mia casa non è un albergo. Lo intuisco negli occhi dei “miei” che mi osservano da lontano. Gioiscono, si commuovono, si interessano della mia vita. Con discrezione, quasi in punta di piedi. Io li lascio entrare nelle mie amicizie, nelle pagine dei miei libri, nei miei silenzi. Avara come ogni figlio rivendico però la mia autonomia, la libertà di scegliere, sbagliare e di godere dei miei personali successi. Così sperimento la bellezza e la fatica di tagliare il cordone ombelicale.
Vivere sotto lo stesso tetto da adulti è una sfida continua, alla ricerca dei propri spazi, ma è anche un momento di grazia, dove impari a conoscere i tuoi genitori. Al di là dei loro ricordi, li senti sognare e discutere. Scopri passioni e sofferenze. Dietro a mamma e papà incontri finalmente due persone e il più delle volte rimani stupito.
La famiglia del 2000 per un figlio è soprattutto un punto di partenza per affrontare la frenesia delle proprie giornate. Un luogo in cui fare ritorno per fermarsi e riposare, dove un piatto di pasta mangiato a notte fonda si trasforma in un gesto d’amore. Non so come sarà la mia famiglia. Vorrei però respirare la stessa atmosfera accogliente che c’è in casa mia, dove puoi passare tra un appuntamento e un altro senza sentirti per forza un ospite inatteso.
I genitori vanno forse “educati” a viverci accanto. Ci vogliono anni, ma i risultati alla fine arrivano. Si spendono tempo e voce, ma sono necessari. Solo noi, figli esigenti, possiamo aiutarli ad essere nostri compagni di viaggio. Prima che vitto e alloggio, chiediamo loro di far parte delle 24 ore che trascorriamo altrove. Una parola basterà.