Ecco le testimonianze di 3 dei 17 diaconi che saranno ordinati presbiteri dall’Arcivescovo sabato 8 giugno nel Duomo di Milano.
«Vivere seguendo il Signore è un’altra cosa»
«Mi abbandono alla fedeltà di Dio ora e per sempre». Questo è il motto personale che Paolo Bottelli, 31 anni, originario della Valle Olona, in provincia di Varese, ha scelto per farsi accompagnare all’ordinazione presbiterale.
«Penso non ci sia una frase che esprima meglio quello che sento nel cuore – spiega -. Se mi guardo indietro non posso fare a meno di riconoscere come Dio sia stato fedele alla sua promessa in tutto questo tempo. Ho ricevuto la possibilità di vivere una vita bella e piena di significato, nonostante tutte le mie fragilità e le mie inadeguatezze».
Paolo riconosce la vicinanza di Dio nell’essere cresciuto in una famiglia che lo ha educato alla fede, vede la sua fedeltà nel gruppo di amici di Comunione e Liberazione che ha incontrato da adolescente. «Tra gli alti e i bassi di quel periodo – racconta – con loro ho proprio capito che vivere seguendo il Signore è tutta un’altra cosa». Anche durante gli anni di università, studiando alla facoltà di Agraria, ha scoperto in lui un grande desiderio: «Mi sentivo chiamato a dare tutto per questa vita così autentica – spiega il diacono – mettendomi al servizio perché anche altri potessero incontrare il Signore come l’avevo incontrato io».
In ogni momento del cammino seminaristico, in cui non sono mancate le domande e i dubbi, la fedeltà del Signore non è mai venuta meno: nelle tante persone che ha incontrato, nella cura che i formatori hanno avuto per lui e nella gioia di scoprire che il Signore lo amava per quello che era. «È per questo che ora sono pronto ad abbandonarmi alla sua fedeltà – confida -, mettendo tutta la mia vita e tutta la mia umanità in mano sua».
«Ho preso in mano la mia vita nel nome di Gesù»
La vocazione di Davide Beretta, 28 anni, affonda le sue radici nella comunità da cui proviene, Carnate, a nord di Monza. La famiglia prima e il servizio in parrocchia poi come cerimoniere, animatore ed educatore, l’hanno plasmato, facendogli scoprire uno stile di vita, quello di Gesù, di cui pian piano si è innamorato. «Il cammino per diventare prete è stato un modo personale per seguire il Signore, il suo esempio, i suoi sentimenti, giorno per giorno».
Ogni piccola scelta fatta, dall’oratorio al Gruppo Samuele, dalla Comunità non residenti fino alla decisione di entrare in Seminario, nel settembre 2018, si è rivelata un passo in più nella sequela. «Determinante è stato un ritiro nel novembre 2015 e la partecipazione alla Giornata mondiale della gioventù l’estate successiva – racconta -, in cui ho compreso che dovevo prendere in mano la mia vita e farlo nel nome di Gesù».
Di grande aiuto sono state anche le Lettere classiche all’università, che gli hanno mostrato la bellezza e la profondità del cuore umano, di cui ora desidera mettersi a servizio. «Mi ha sempre affascinato come l’uomo abbia risposto alle grandi domande della vita – prosegue-. All’inizio volevo fare il professore di Lettere per trasmettere questa mia passione ai miei studenti». Poi la vita di Davide ha preso un’altra piega e gli anni di Seminario gli sono serviti per maturare la vocazione al sacerdozio, sempre «passo dopo passo», tiene a precisare.
Questi per lui sono giorni intensi dal punto di vista emotivo. «Provo tanti stati d’animo – confida Davide -, da una parte il desiderio di mettere un punto fermo alla mia vita e avere una parrocchia di cui prendermi cura, dall’altra la nostalgia per l’esperienza del Seminario che si chiude, dall’altra ancora la tristezza nel dover lasciare l’oratorio di Cinisello Balsamo in cui ho svolto la pastorale e dove mi sono trovato davvero bene».
«In Perù ho imparato a essere sempre pronto»
Matteo Viscomi ha compiuto 27 anni il giorno dell’ordinazione diaconale, lo scorso 30 settembre. Originario di Senago, nella città metropolitana di Milano, è stato cresciuto dai genitori nella fede che si è poi consolidata durante gli anni di gioventù. «Il risveglio del frutto della fede donatami, l’eucatastrofe – spiega – è arrivato inaspettato durante un viaggio in Olanda, grazie alla testimonianza di una giovane monaca benedettina di clausura, lì in missione».
Ma questo non è stato l’unico incontro significativo nel cammino alla sequela di Gesù. Importante per lui è stata l’esperienza in Perù con l’Operazione Mato Grosso, durante l’estate del quarto anno di Teologia, esperienza condivisa con altri tre compagni di Seminario. «Ci siamo trovati dinanzi a realtà umanitarie profondamente diverse da quelle a cui siamo abituati nel contesto europeo – spiega Matteo -. Tante povertà, non solo economiche, ma anche culturali e sociali». Il diacono racconta della calorosa accoglienza dei peruviani e di come l’esperienza in terra di missione lo abbia aiutato a comprendere il significato di essere comunità, di essere Chiesa. «Lo Spirito ha una creatività che supera di gran lunga la mia – continua -. Questa consapevolezza mi ha confortato, perché ho compreso che, da futuro sacerdote, non sarò io il salvatore di nessuno. È Cristo che continua ad agire e noi siamo solo strumenti nelle sue mani, se ci crediamo e ci mettiamo in gioco».
La vita di Matteo è stata davvero influenzata dalla missione, che gli ha insegnato ad essere sempre pronto, listos, come si dice in Perù. «Osservando i padri che si dedicavano al lavoro duro – conclude – come la costruzione di quartieri, l’assistenza ai poveri o il caricare e scaricare pesanti sacchi, ho imparato l’importanza di essere sempre pronti e disponibili, dovunque ci troviamo, a servire al meglio il prossimo per Gesù. Con i missionari io e i miei compagni siamo riusciti a mantenere ottimi rapporti, tanto che padre Daniele verrà a Milano per la nostra ordinazione presbiterale».