«Mentre riconosciamo la nostra fragilità e le nostre contraddizioni, ci raduniamo ancora in preghiera. Rappresentiamo gente, comunità e persone che, con noi, condividono l’inquietudine, ma abbiamo pensato che valesse la pena di ritrovarci qui per pregare per la pace». Proprio perché l’inquietudine che serpeggia ovunque non «ci paralizzi». È questo lo spirito a cui dà voce l’Arcivescovo (qui il suo intervento), anche a nome dei ministri di culto delle Confessioni aderenti al Consiglio delle Chiese cristiane di Milano, che nella Settimana dell’Unità hanno vissuto l’intenso momento di celebrazione ecumenica svoltosi nel battistero paleocristiano di San Giovanni alle Fonti, sottostante il Duomo, dove Agostino, nella notte di Pasqua del 387, fu battezzato da sant’Ambrogio, padre della Chiesa indivisa.
Un luogo altamente simbolico, il Battistero della Cattedrale, che racconta la millenaria storia di fede della città e richiama la comune appartenenza di ogni fedele in Cristo, al di là delle divisioni, in virtù appunto del battesimo. Così come sottolinea in apertura il diacono Roberto Pagani, responsabile del Servizio diocesano per l’Ecumenismo e il Dialogo, anche a nome del Vicario episcopale, monsignor Luca Bressan, assente per motivi di salute.
Concelebrata dall’Arcivescovo, da padre Traian Valdman (Vicario episcopale emerito della Chiesa ortodossa romena in Italia) e dalla pastora valdese Daniela Di Carlo (presidente di turno del Consiglio delle Chiese cristiane di Milano), la preghiera si articola tra canti e ascolto di brani della Parola di Dio. Stralci dal Libro del profeta Isaia e dal Vangelo di Giovanni al capitolo 14 proclamato nella sua versione ecumenica, con il suo forte appello alla pace e quel «Non abbiate paura» tanto difficile da vivere oggi.
Sappiamo ancora pregare?
«La verità è che noi siamo inquieti, incerti, forse anche smarriti», non si nasconde monsignor Delpini che, tuttavia, aggiunge subito: «Abbiamo ascoltato le promesse di Gesù e siamo certi della sua fedeltà. Ci ha donato la pace, eppure dobbiamo riconoscere che non c’è pace, neppure tra i discepoli. Noi non siamo di quelli che cercano colpevoli e muovono accuse con l’ossessione di rivisitare la storia per dimostrare di avere ragione, siamo piuttosto – noi cristiani -, coloro che si addolorano, che si sentono umiliati dalle loro sconfitte. Ascoltiamo Gesù che dice: “Non preoccupatevi” e invece siamo preoccupati; ascoltiamo Gesù che dice: “Non abbiate paura”, e invece abbiamo paura». Ma è appunto mentre «riconosciamo la nostra fragilità e le nostre contraddizioni» che ci raduniamo ancora in preghiera, «qui dove Agostino è rinato nel battesimo, per rinnovare la nostra decisione a percorrere le vie della pace».
Ma come farlo? Il suggerimento, spiega l’Arcivescovo, viene dalle Letture appena ascoltate. «“Di notte anela a te l’anima mia, al mattino ti cerca il mio spirito”, ci dice Isaia. Cerchiamo il Signore, non abbiamo altra roccia sulla quale appoggiarci, altra luce alla quale attingere, non abbiamo altra pace, se non riceviamo la pace come dono di Dio. Forse dobbiamo riconoscere che preghiamo troppo poco e che non cerchiamo il Signore di notte e di giorno: forse vivendo in questa città, ci sono altre priorità, altre cose più necessarie del nostro pregare. Abbiamo ancora tempo e desiderio di ascoltare la parola di Gesù?».
L’occasione, allora, per una risposta di fede più convinta è vivere «la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani volendo professare ancora che la nostra unità è opera di Dio, che la nostra pace può essere solo dono di Dio, che la nostra comunione, che già nel battesimo si è realizzata, può essere costruita solo dallo Spirito di Dio».
Imparare ad amare
Poi, la seconda via: imparare ad amare: «L’amore che Gesù ci comanda non si può descrivere secondo l’inerzia dei luoghi comuni, come se sapessimo tutti cosa significa amare. L’amore è un mistero troppo grande per pensare di saperne qualche cosa solo perché ne ripetiamo il nome. L’amore di cui parla Gesù è come la pace: non è come quello che il mondo chiama amore. Infatti, nel Vangelo che guida tutta questa Settimana, sembra che il comandamento di amare Dio sia ovvio e, infatti, il dottore della legge chiede chiarimenti solo su chi sia il “prossimo”. Eppure, il mistero più profondo, la domanda più necessaria è “Chi è il mio Dio?”».
Per questo – conclude – accogliamo Gesù «che ci rende partecipi del suo modo di amare, del suo modo di essere la nostra pace. Il mistero al quale siamo introdotti è troppo più grande di noi e noi invochiamo di poter accogliere l’amore del Figlio, se amando, ci lasciamo trasformare in amore, uomini e donne della pace di Dio».
Infine, le intercessioni – anche «per le Nazioni travagliate dalla violenza», con i tanti nomi di Paesi insanguinati dalle guerre -, lo scambio della pace, l’impegno delle Chiese e la benedizione.
Lo scambio di saluti e l’augurio del Consiglio delle Chiese
Al termine della preghiera in Battistero, i partecipanti sono stati accolti nel Palazzo arcivescovile, presso la Cappella, per l’augurio che, tradizionalmente, fino a due anni fa si è svolto l’1 gennaio.
Un momento di saluto e anche conviviale, ma soprattutto di breve riflessione sul cammino ecumenico nelle nostre terre, evidenziato dalla pastora Di Carlo come presidente del Cccm: «Noi siamo bravissimi a fare fronte insieme nelle emergenze, a mobilitarci, a dialogare, ma forse il brano di Gesù accolto in casa di Marta e Maria può insegnarci qualcosa. Marta è sempre indaffarata, ma il meglio, dice il Signore, è di Maria che ascolta. Nella diaconia nessuno ci batte, dalla Caritas alle varie iniziative di solidarietà, ma il nostro è un ecumenismo che rimane al modo di Marta. Quando dobbiamo essere attaccati all’Evangelo, le tradizioni delle nostre Chiese sono più forti della ricerca di un nuovo modo di dire e vivere l’Evangelo stesso. Ricordiamoci che Maria, ascoltando, ha scardinato dei ruoli che la tenevano prigioniera».
Da qui l’augurio del Consiglio e l’appello all’Arcivescovo per ciò che può fare nel suo importante ruolo: «Diamo all’ecumenismo delle possibilità nuove, comprensibili per la vita della gente, imparando a dire la fede in modo liberatorio e accogliente, capace di coinvolgere tutte le persone nel loro modo di essere nel mondo, con la parola che distrugge l’odio e crea un mondo nuovo».