La vocazione è il frutto di una ricerca personale che passa attraverso l’ascolto della propria coscienza e il dialogo tra l’agire di quest’ultima e un’attenta osservazione della realtà. Per un credente questo “lavoro di scavo” è arricchito dal confronto con la Parola e con la vita di Gesù, come proposta di sequela.
La vocazione al sociale scatta quando ti rendi conto che la proposta di vita cristiana – che trova testimonianza innanzitutto nella Chiesa domestica (la famiglia) ed è imperniata su alcuni valori vissuti che realizzano la pienezza della natura umana – è quella che potrebbe o dovrebbe informare non solo le comunità locali (religiose e civili), ma l’intera convivenza civile, ovvero quando ti rendi conto che la vita dei credenti descritta negli Atti degli Apostoli e sulle tracce di Gesù non rappresenta solo un esempio personale, familiare o al massimo per piccoli gruppi omogenei, ma è l’esempio sul quale strutturare l’economia, la politica, le istituzioni e la cultura. La solidarietà, l’uguaglianza di opportunità, la pari dignità, l’equa distribuzione della ricchezza (a ciascuno secondo il proprio bisogno), l’accoglienza e l’ospitalità, la gestione nonviolenta dei conflitti, che sono (o dovrebbero essere) la norma nelle piccole “aggregazioni umane”, diventano principi che un credente che ha una vocazione al sociale pensa debbano essere i cardini del vivere associato.
Quando l’Arcivescovo nella Lettera pastorale Cresce lungo il cammino il suo vigore scrive «quanto più approfondiamo il nostro personale rapporto con il Signore Gesù, tanto più ci accorgiamo che Egli ci chiama alla santità, mediante scelte definitive, con le quali la nostra vita risponde al suo amore» ci riporta proprio all’intima spiegazione delle motivazioni che spingono a fare una scelta.
In un passo che mi è molto caro del Vangelo di Marco (10, 43), Gesù dice ai suoi discepoli: «Tra voi non è così». Ecco, c’è una legge che è quella del mondo e c’è una legge che è quella dei discepoli di Gesù: lì viene esplicato il principio del servizio. Chi ha potere deve servire gli altri, chi ha più possibilità di influire deve essere al servizio degli ultimi.
Le Acli per me sono state un incontro, a mio avviso provvidenziale, che ha segnato la mia formazione umana e cristiana dagli anni dell’adolescenza. Sono la testimonianza, anche con la loro storia travagliata, del coraggio che i credenti devono avere nell’impegno civile. È una associazione che sta in mezzo alle cose del mondo avendo saldi principi, avendo la Parola come fondamento, ma dovendo compiere delle scelte. In tutta la loro storia le Acli hanno provato a tradurre l’insegnamento sociale della Chiesa in scelte concrete, a fare un difficile, ma sempre serio discernimento: si sono battute per i diritti dei lavoratori (soprattutto a partire dagli ultimi) e per l’istituzione e la creazione di un welfare a misura di persona; hanno sempre ritenuto che la causa della pace è il più grande bene comune che l’umanità possa conquistare ogni giorno; hanno sempre considerato la democrazia il migliore dei metodi possibili per governare l’umanità; non si sono mai sottratte alle sfide della storia. Nelle Acli ci sono stati (e ancora ci sono) quei santi minori del Movimento operaio di cui parlava e scriveva Giovanni Bianchi. Le Acli sono un luogo vivo e un “mondo vitale” dove le persone, anche le più giovani, possono trovare esempi, storia, memoria, lettura dell’attualità, ma anche ipotesi di futuro con le quali misurarsi.