L’evento pandemico, con i suoi lutti e ferite, ha anche portato maggiormente in evidenza nelle riflessioni collettive, nel linguaggio comune e nelle organizzazioni sociali, aggettivi e verbi meno freddi e tecnici e che, se applicati coerentemente, portano a cambi di approccio ed operatività significativi. Persona anziché utente, continuità assistenziale al posto della frammentazione di servizi, domicilio anziché separazione, partecipazione anziché passività, ecc. Basti pensare che la recente riorganizzazione dell’assistenza territoriale ha portato – per ora solo dal punto di vista formale, per la verità – a mettere il sostantivo “Comunità” dopo i nuovi servizi previsti: Ospedali, Case, Infermieri e Medici, per esempio.
La cura come “fermento”
Altro concetto che ha ripreso evidenza è certamente quello della cura, intesa non nella sola accezione connessa alla salute, cioè come ripristino di un benessere o accompagnamento nelle limitatezze fisiche ancorché non guaribili, ma come occasione di «restituire umanità piena e feconda anche per tutta la comunità, non solo per gli ultimi ma anche per i primi: perché crea legami, scioglie i nodi e conflitti latenti, restituisce responsabilità verso la propria comunità, offre dignità piena ai singoli ed alle comunità stesse» (Mario Delpini, Discorso alla Città, 6 dicembre 2023).
Una cura non esercitata da parte di qualcuno nei confronti di altri (i bisognosi), ma una cura che “fermenta” reciprocamente i membri di una comunità e soprattutto non contrappone le dimensioni personali a quelle comunitarie, e quelle tra le persone e l’ambiente, a partire da quello nel quale ordinariamente si vive. In definitiva cura della persona, cura della comunità, cura dell’ambiente non appartengono a sfere distinte o a categorie di “bisogno” ma sono la declinazione propositiva del modo di vivere la fraternità (per coloro che credono) o l’amicizia civica, virtù alla quale siamo tutti chiamati, secondo la felice espressione del cardinale Scola.
Se queste sono le premesse fondative di una cura che è responsabilità di tutti esercitare, come condizione anche per “riceverla”, è però necessario che le organizzazioni formali che le comunità si danno applichino strumenti per rendere questo esercizio più efficace e non solo consegnato a una dimensione individuale.
Il programma
Di questo si parlerà nel corso della terza sessione del percorso sociopolitico diocesano (vedi qui la locandina), sabato 13 aprile, dalle 9.30 alle 12.30, in via S. Antonio 5 a Milano, con un saluto e un’introduzione al tema da parte di don Nazario Costante (responsabile del Servizio diocesano per la pastorale sociale e il lavoro), cui seguiranno due relazioni di Milena Santerini (vicepresidente Istituto Giovanni Paolo II e docente universitaria) e Stefano Villa (professore di Economia aziendale) che aiuteranno a comprendere come il concetto di cura è evoluto nel tempo e da paradigma in ambito sanitario diventa uno sguardo specifico sulla realtà che riesce a coglierne le ferite, ma soprattutto ad attivare le risorse individuali e collettive.
A seguire, tre testimonianze di esponenti di organizzazioni di secondo livello, vale a dire che aggregano soggetti impegnati sul territorio a gestire servizi, ma anche a creare legami e costruire patti (anche formali) nell’ottica di rigenerare spirito di appartenenza e senso di comunità, a partire dalla cura dei più fragili, ma senza fermarsi solo a loro.
Anna Meraviglia, che coordina l’ambito dei servizi alla persona per Anci Lombardia (associazione che aggrega volontariamente la quasi totalità dei Comuni lombardi), interverrà sul tema dei Piani di zona dei servizi sociali (in fase di rinnovo proprio in questi mesi) come occasione non solo di programmazione dei servizi comunali, ma di chiamata a raccolta nella lettura dei bisogni e nelle pratiche collettive di cura di tutti i soggetti del territorio.
Luca Degani, presidente di Uneba Lombardia (realtà che aggrega oltre 400 realtà no profit di ispirazione cristiana operanti nel socio sanitario), parlerà invece delle sfide della nuova organizzazione sanitaria territoriale in risposta ai bisogni di salute della popolazione.
Infine Rossella Sacco, portavoce del Forum del Terzo settore di Milano e impegnata nel mondo della cooperazione sociale, porterà l’esperienza di forme di collaborazione tra diversi soggetti del terzo settore e di questi con gli enti locali, concretizzando i principi di partecipazione e sussidiarietà che concorrono a ridare anima alle nostre comunità, come esorta papa Francesco: «Come sono belle le città che superano la sfiducia malsana e integrano i differenti, e che fanno di tale integrazione un nuovo fattore di sviluppo! Come sono belle le città che, anche nel loro disegno architettonico, sono piene di spazi che collegano, mettono in relazione, favoriscono il riconoscimento dell’altro!» (210 E.G.).
Per informazioni e adesioni: sociale@diocesi.milano.it