Potremmo fondare la sensibilità di Alfredo Idelfonso Schuster verso l’importanza della casa sulla sua stessa fanciullezza. Egli era figlio di un sarto dell’esercito pontificio, rimasto a Roma dopo la fine del potere temporale, e che era al terzo matrimonio. Nacque e visse in una casa certamente povera, come dovevano essere le povere e vecchie abitazioni che formavano la Spina (detta anche Spina dei Borghi), quel complesso abitativo (fatiscente) che fu abbattuto per fare posto all’attuale via della Conciliazione (1936-1937). Una dimora povera, malsana caratterizzò i suoi anni di fanciullo, sino all’accoglienza come puer oblatus nel Monastero di San Paolo fuori le Mura, ove ebbe una piccola poverissima stanza: egli stesso ricorderà che era tanto povera (il solo letto) e angusta che, aprendo le braccia, toccava le due pareti.
La tragedia della guerra
Il problema della casa si fede drammatico a causa della guerra. Non solo un terzo della città di Milano era stato raso al suolo dai bombardamenti degli alleati con episodi spaventosi, come la distruzione della scuola elementare di Gorla e le sue più che duecento piccole vittime.
È bello al proposito citare i ricordi confidatimi al momento della beatificazione del cardinale Schuster da suor Amalia e don Libero Tresoldi.
Suor Amalia, delle Suore di Maria Bambina, che era addetta all’appartamento dell’Arcivescovo, era tra i due fuochi: l’Arcivescovo voleva che uno dei due materassi del suo letto episcopale fosse portato nel centro di raccolta istituito nello stesso Arcivescovado perché fosse distribuito ai bisognosi, vittime dei bombardamenti. Ma la Superiora le proibiva assolutamente di attuare la richiesta del Cardinale. Così, un giorno la suora si vide passare davanti l’Arcivescovo che a fatica trascinava il materasso verso il magazzino!
Non dissimilmente monsignor Libero Tresoldi, che era coadiutore a Santa Maria alla Fontana in quel tempo drammatico. Dopo l’ennesimo devastante bombardamento, egli andò in Arcivescovado a chiedere aiuto alla carità dell’Arcivescovo, che vide in cortile, anch’egli impegnato a spostare le macerie del bombardamento che aveva colpito anche il Palazzo arcivescovile. Tresoldi si avvicinò e narrò i fatti a Schuster, la miseria in cui era precipitata la gente della sua parrocchia. Schuster infilò una mano in tasca e ne estrasse un rotolo di banconote, legate con lo spago: «Me le ha portare poco fa un benefattore perché aiutassi i bisognosi. Non so quanto sia grande la somma, ma spero che possa bastare per i primi aiuti. Nel caso ritorna». Non aveva neppure contato i soldi che passarono ai senza tetto della guerra.
Dopo la guerra: la Domus Ambrosiana
La pagina forse più splendida di questa “attenzione alla casa” è quella che va sotto il nome di Domus Ambrosiana, ampiamente e bellamente descritta da Angelo Majo in Schuster, una vita per Milano (Milano, NED, 1994, 92-96). L’Autore riporta l’emozionante Lettera alla diocesi dell’Arcivescovo: A ciascuno la sua casa. Un appello per un’eccezionale raccolta di fondi pro costruende abitazioni («Rivista Diocesana Milanese» 38 (1949) 7-8).
Scrive il Cardinale: «Il giorno del Santo Natale noi abbiamo in Milano tre morti per assideramento: l’uno senza fissa dimora, l’altro trovato morto nel suo abbaino, il terzo in un angolo di un edificio sinistrato (= bombardato). Sono le conseguenze tragiche e dolorose della mancanza di abitazioni in città e fuori, ma questi sono semplicemente episodi sporadici, se pur spaventosi.
La statistica di Milano ci dà migliaia e migliaia di famiglie che non hanno casa, che durante questo rigido inverno sono esposte a mille sofferenze di freddo e di fame. È una stretta al cuore per noi, il pensiero di quei bambini, creature deboli e innocenti, che in quelle famiglie senza casa debbono crescere sul lastrico, malaticci, col pallore della morte sul viso, scheletrici, vittime assai presto della tubercolosi e di altre miserie.
L’assoluta mancanza di case obbliga migliaia di famiglie alla coabitazione […] È poi impossibile fare un calcolo anche approssimativo di tutti quei giovani e signorine che aspettano invano una casa, almeno un buco per comporre la loro famiglia […] Non ci sono case! È impossibile fabbricarne per la situazione finanziaria, […] Ci sono invece case a sufficienza per i ricchi […] (con) affitti proibitivi per i poveri. […]».
Interrompo la lettura integrale di questo splendido documento, per portarmi avanti un poco, alla proposta ardita di Schuster: «Ora in nome della carità e della giustizia io oso lanciare un appello a quanti possono disporre del superfluo, banchieri, industriali, finanzieri […] perché vogliano concorre a quest’opera cristiana di costruire case per quanti ne sono privi. […] Dio lo vuole e voi non vi potete rifiutare. […] Per quest’opera cedo volentieri il mio anello episcopale, che porto al dito. Mi allieta la fiducia che migliaia di famiglie senza tetto potranno presto trovare una decorosa abitazione, giovani potranno finalmente comporre la famiglia […]».
L’appello di Schuster fu accolto con vero entusiasmo e con una autentica gara di solidarietà: il 20 marzo 1949 il Cardinale benediceva la prima pietra del primo fabbricato. Sorsero così tre moderni quartieri di tredici fabbricati che accolsero 239 nuclei familiari con affitti più bassi di quelli dell’Istituto Autonomo Case popolari e tali per cui con il tempo gli stessi inquilini avrebbero potuto riscattare per loro stessi quegli appartamenti. È quella che è entrata nella storia diocesana come la Domus Ambrosiana, dal nome della Società per Azioni che fu costituita per realizzare e coordinare l’impresa.
A ricordo fu murata nel cortile dell’Arcivescovado una lapide in marmo di Candoglia (ma che temo persa, ndA), ove si leggeva: ««XXI Marzo MCMIL, nel nome santo di Dio auspice un gruppo di mecenati nel giorno di san Benedetto padre dell’Europa Ildefonso Cardinale Arcivescovo colloca la pietra fondamentale della Domus Ambrosiana pei senza tetto e per le novelle famiglie supplicando Cristo Salvatore che ne prepari a tutti una più ampia e duratura in Cielo».
Il Piano Regolatore
Il problema delle abitazioni si fece tanto più pastoralmente angosciante nel dopo guerra con il nuovo Piano Regolatore, frutto del censimento del 1951.
Con lo stesso assillo pastorale agì Schuster perché si provvedesse ad aiutare la massa di immigrati che andò travolgendo la diocesi, sempre accogliendo tutti.