Un Master di primo livello dal titolo «La spiritualità nella cura. Accompagnamento nel mondo della salute», per rispondere all’esigenza di ampliare l’approccio medico tecnico-scientifico con le dimensioni spirituali, etiche, relazionali e utile a formare figure fornite di competenze in tutti questi ambiti. È l’iniziativa che la Diocesi propone con il patrocinio della Conferenza episcopale lombarda e in collaborazione con la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale e l’Istituto superiore di Scienze religiose di Milano, aprendosi anche alla fattiva sinergia con le istituzioni sul territorio e le università.
Per questo importante Master (che fornirà Crediti Ecm), alla tavola rotonda di presentazione a Palazzo Lombardia, c’erano l’Arcivescovo emerito di Milano, cardinale Angelo Scola, l’Arcivescovo, monsignor Mario Delpini (che ha recentissimamente dedicato una sua lettera aperta ai medici ospedalieri e di base), il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, il Vicario episcopale per la Carità, la Cultura, la Missione e l’Azione sociale monsignor Luca Bressan, l’assessore regionale al Welfare Giulio Gallera, Elena Vegni (docente di Psicologia clinica all’Università degli Studi di Milano) e Luca Degani (presidente di Uneba Lombardia). Presenti, tra gli altri, il preside della Facoltà teologica don Massimo Epis, il preside dell’Issrm don Alberto Cozzi, l’assistente generale dell’Università Cattolica monsignor Claudio Giuliodori, il responsabile del Servizio per la Pastorale della Salute don Paolo Fontana, dirigenti e responsabili di molte Ircss e realtà di Lombardia, medici e studiosi.
Le parole dell’Arcivescovo
«Questo convegno, significativamente ospitato proprio nel luogo dove si progettano le politiche della cura – spiega l’Arcivescovo – ha come scopo di accendere domande. Istituzioni e centri di cura, enti di formazione e scuole, tradizioni di pensiero e religiose (cristiane, ma non solo) si interrogano con insistenza: come valorizzare la spiritualità in questo ambito? La spiritualità è quella dimensione trasversale che permette un approccio integrale alla persona malata che non è solo un caso clinico, ma qualcuno che ha un nome e un volto».
Chiaro l’impegno, dunque, delle Chiese di Lombardia: «Ci sentiamo interrogati da questa sfida, dialogando con i cappellani che vivono la pratica del prendersi cura dei malati. È un convegno, questo, che non ha uno scopo né teoretico, né celebrativo, ma è un avvio. La Chiesa cattolica è convinta che i grandi passi compiuti dalla ricerca scientifica e medica possano dare ancora più frutti se inseriti in un orizzonte di senso che può far crescere la società nel suo complesso. Per questo la comunità ecclesiale è da tempo impegnata a rivisitare le proprie pratiche di assistenza religiosa. Si tratta di ripensare figure e gesti, riti e relazioni, per poter stare dentro l’esperienza della malattia in una modalità pienamente umana. La malattia coinvolge il malato, ma chiama intorno alla persona malata familiari, medici, personale sanitario, volontari, figure religiose. Come ho scritto recentemente nella lettera che ho indirizzato ai medici (“Stimato e caro dottore”), aiutare le persone che operano con i malati a percepire la profondità della professione che svolgono, aiutarli a vivere questa professione come una vocazione, va di pari passo con la riscoperta della centralità della dimensione spirituale».
L’intervento del cardinale Scola
Per il cardinale Scola, che ha tenuto la relazione centrale dal titolo «L’importanza della dimensione spirituale e religiosa nell’esperienza della malattia e della fragilità», si tratta di riflettere sulla domanda più ampia di senso che va oltre quella di guarigione da parte del malato: «Già anni fa la Chiesa italiana ha recepito questo dato e ha accompagnato la parola “salute” alla parola “salvezza”, relativa allo scioglimento ultimo dell’enigma che è sempre l’uomo. Ciò dimostra la decisività della scelta che le Diocesi lombarde stanno facendo: molti trend della società di oggi rimuovono la questione del “dopo”, della morte – anche grazie alle moltissime nuove scoperte -, ma la dimensione di senso è inevitabile. Parlare di spiritualità, in modo corretto, significa coltivare tale dimensione che, guardando alla salvezza, va oltre la pura fine della vita terrena. Il concetto di cura, pur nei grandi progressi della scienza, non ha parola più bella e coerente che l’accompagnamento, perché l’io è sempre un essere in relazione. Qui si deve giocare un’alleanza tra malati, medici e familiari. Chiederei che il Master crei figuri che lavorino con un io-in-relazione, in una prospettiva globale, con arte terapeutica. La medicina, infatti, non si può definire scienza, ma è un’arte che utilizza molte scienze e che si esprime in atti clinici. Attraverso questi ultimi la medicina deve incrementare la dimensione spirituale che è connaturata alla cura».
Così come ha dimostrato il breve video nel quale Samuele, giovane studente di filosofia, già malato oncologico, riflette proprio sul “senso” della sua malattia: «Il fatto che non ci sia un perché non elude la domanda che torna invadente: perché non diventi schiacciante occorre trovare il senso di questa esperienza. Ma non si può essere soli a fare questa operazione, occorre un aiuto e il sostegno di tanti piccoli dettagli di cura che sono doni sparsi. Qui sta l’importanza dell’accompagnamento».
Convinto della necessità di un’attenzione specifica al rilievo spirituale nella cura della malattia anche il presidente Fontana. «In tale contesto, sono cambiate molte cose – basti pensare alle cronicità – ed è mutata la composizione della società, con la realtà multietnica e tante comunità religiose presenti sul nostro territorio. Credo che sia sempre più urgente un dialogo tra le diverse sensibilità di persone con formazione, fedi di riferimento, provenienze diverse. Anche per questo abbiamo deciso, come Giunta, di definire la Consulta per le professioni sanitarie». Per l’assessore Gallera «è fondamentale il ruolo dei cappellani. Scienza e tecnologia non devono occupare tutto lo spazio dell’accompagnamento che, invece, spesso è legato alla spiritualità e al conforto da parte di familiari, conoscenti e volontari».
Espressioni, queste, presenti anche nelle conclusioni di monsignor Bressan: «Il ruolo del cappellano ospedaliero e in Casa di cura va aggiornato. Ci sono nuovi spazi da abitare, in cui la fede cristiana può giocare un ruolo fondamentale con una presenza diversa».