L’Europa e il Mediterraneo, la centralità della famiglia, il bene comune, la definizione di cosa sia questo bene e, infine, le due strade da percorrere con l’arte del buon vicinato e l’alleanza tra le Istituzioni.
Richiama i temi portanti del suo “Discorso alla Città” del 6 dicembre scorso, l’atteso intervento dell’Arcivescovo al Consiglio Comunale di Milano. D’altra parte, l’invito arrivato dal presidente del Consiglio stesso, Lamberto Bertolè, fa esplicito riferimento, appunto, al Discorso “Autorizzati a pensare”. «Una riflessione critica, condividendo pensieri e non solo emozioni, per affrontare, con ragionevolezza, questioni complesse e sfide come quelle della città verde, dell’Europa, della conoscenza della Costituzione, della famiglia, delle periferie, dell’integrazione», osserva, infatti, Bertolè, nella Sala consiliare di Palazzo Marino, dove trovano posto tutti i Capigruppo, assessori, consiglieri, il vicario episcopale per la Zona pastorale I-Milano, monsignor Carlo Azzimonti, il direttore della Caritas ambrosiana, Luciano Gualzetti e tanto pubblico e giornalisti.
L’intervento dell’Arcivescovo
E proprio dall’articolo 3 della Costituzione si avvia il pronunciamento del vescovo Mario – accanto a lui ci sono il sindaco Giuseppe Sala e la vicesindaco Anna Scavuzzo – che, in apertura, sottolinea:
«L’invito a rivolgere la mia parola al Consiglio Comunale di Milano è un modo con cui l’Amministrazione riconosce la rilevanza, per il bene di Milano, della Chiesa cattolica nella sua capillare presenza sul territorio». Notando la coincidenza, peraltro casuale, della data dell’incontro in atto con quella dei Patti Lateranensi dell’11 febbraio 1929, il Vescovo esprime «anche l’auspicio che le persone, che pensano e riflettono con spirito critico e autocritico, non si confrontino con la Chiesa cattolica solo per riconoscere il servizio che ha reso e rende in molti ambiti della vita della città e per l’utilità che rappresenta, ma anche per lasciarsi interrogare dalla parola e dalle intenzioni che muovono la Chiesa a questa presenza, a questo servizio, a questa disponibilità a farsi carico delle persone e delle problematiche».
Il pensiero va al linguaggio comune, con cui si esprime la democrazia e che è espresso in maniera mirabile dalla Costituente repubblicana. «Il riferimento alla Costituzione non può essere solo un appello retorico, deve piuttosto essere un criterio per orientare e giudicare le scelte, con l’inevitabile impegno di interpretazione e di mediazione nel contesto attuale. Per esempio l’art 3 che ho citato in premessa indica impegni e orientamenti che possono essere molto incisivi nelle scelte ordinarie dell’Amministrazione comunale».
Ovvio che il riferimento sia al bene comune «come il convivere sereno e solidale dei cittadini. Promuovere il bene comune significa quindi promuovere la appartenenza consapevole e corresponsabile alla comunità cittadina», anche su temi controversi come quello – già definito centrale nel “Discorso” – della famiglia.
«Ritengo che la famiglia sia la risorsa determinante per favorire il convivere sereno e solidale. La considerazione della famiglia e la sua centralità per il benessere della città si scontra con la tendenza diffusa a dare enfasi ai diritti individuali, nel costume, nella mentalità e nella legislazione nazionale come nelle delibere comunali. A me sembra, però, che sia ragionevole, in vista della promozione del bene comune, che si promuova la famiglia come forma stabile di convivenza, di responsabilità degli uni per gli altri, di luogo generativo di futuro. Il preoccupante calo demografico, la desolata solitudine degli anziani, i fenomeni allarmanti della dispersione scolastica, delle dipendenze in giovanissima età, dell’indifferenza individualistica devono dare molto da pensare a chi ha a cuore il bene comune. La famiglia è la risorsa determinante».
I percorsi
In questo contesto ampio e articolato, arriva il suggerimento di due percorsi virtuosi.
«Il primo percorso si può riassumere nell’arte del buon vicinato che responsabilizza tutti i cittadini e gli abitanti che convivono nella città, proponendo l’atteggiamento della cittadinanza attiva, vigile, intraprendente. Il buon vicinato non si può decidere con una delibera comunale, eppure non si deve neppure lasciare alla buona volontà dei singoli. Si tratta di una promozione culturale che, grazie alla mediazione di molte presenze territoriali, diffonde un modo di intendere il vicino, i vicini di casa come potenziali alleati e non come potenziali minacce. Le presenze territoriali possono favorire e praticare questo atteggiamento. Penso alle parrocchie e agli oratori, alle scuole e ai Centri culturali, alle Associazioni di volontariato e di solidarietà, ai Centri di ascolto e i Consultori familiari, alle Associazioni dei commercianti, degli inquilini, ai presidi sanitari».
Chiaro che, in questo, se si è alleati, si sia incisivi. «Credo che l’Amministrazione comunale possa fare molto per sostenere le buone pratiche e bonificare i territori esposti al pericolo di diventare incubatori di violenza, risentimento, illegalità».
Da queste potenzialità “di base” l’Arcivescovo pone, poi, la sua attenzione alle Istituzioni che devono fare rete. «Si deve riconoscere che, nella tradizione milanese, esse hanno coltivato rapporti di stima reciproca, di abituale collaborazione, di molteplicità di confronti. Credo che la stagione sia propizia e incoraggiante per intensificare questa dinamica positiva. L’alleanza tra le Istituzioni deve essere intesa come uno stile di rapporti, di incontri e di confronto che diventa il contesto favorevole a rispondere alle domande imposte dal presente e dal futuro».
Interrogativi, certo, di orizzonte ampio e di lunga prospettiva, ma anche relative a come si intenda la città. «La prospettiva di Milano credo che debba essere Europea e Mediterranea, per essere fedele alla sua vocazione. Questi orizzonti irrinunciabili acquistano particolare fascino e sono una particolare responsabilità in questa stagione che prepara le elezioni europee e registra una povertà preoccupante di contenuti. In città vivono e operano Istituzioni prestigiose, efficienti, dotate di risorse, di idee, di esperienza. La mia presenza in questa sede e in questa occasione è per ribadire la disponibilità della Chiesa diocesana nelle sue varie articolazioni centrali e territoriali per essere partecipe di alleanza, per farsi promotrice attiva di quanto può consolidarla e renderla operativa. La Chiesa ambrosiana può offrire il servizio disinteressato per coniugare sviluppo ed equità, sicurezza e inclusione con la sua presenza capillare in tutta la città e la sua riserva di sapienza e di speranza che le ha consentito di attraversare i secoli e di guardare con fiducia al futuro».
Il sindaco
Una scelta a cui risponde, nel suo intervento, il sindaco Sala. «Grazie per la sua disponibilità dichiarata e dimostrata non certamente solo oggi (già sono aperti tavoli di confronto e impegno comune per interventi, ad esempio, sulle periferie e i disagi urbani), a una collaborazione fattiva e di dialogo tra Istituzioni per arrivare, insieme, a determinare nuovi percorsi di crescita e di equità che a volte sembrano essersi smarriti per strada. Abbiamo bisogno del suo aiuto. Grazie per il suo richiamo a una Milano che, se pur detiene un primato riconosciuto nel nostro Paese è, al pari delle grandi città del mondo, a fare i conti con elementi di disuguaglianza e di sofferenza che ci devono vedere tutti impegnati nel loro superamento. Non riusciamo a venirne fuori perché, in molti, ci ostiniamo a rimettere continuamente insieme pezzi di sistemi compromessi nella loro versione di ieri negandoci spesso la possibilità, la libertà e anche il dovere di “pensare” e di creare un nuovo modello di convivenza».
Da qui 5 punti per pensare e operare insieme. Anzitutto, il richiamo a una politica capace di guardare al domani. «Lo sguardo al futuro deve vederci sempre più tesi a trovare la strada da percorrere insieme. O siamo disposti a far questo oppure questa città è destinata a fare a meno di una mediazione e di una riflessione politica che ha sempre caratterizzato la storia di Milano. In un pianeta talmente interconnesso da fare dell’informazione la sua materia prima, la politica, o reagisce o è destinata a veder tramontare la sua rilevanza».
Inoltre – e, qui, Sala torna alle parole del cardinale Martini pronunciate tra gli stessi scranni consiliari -, «l’accoglienza, come categoria generale, non è per la milanesità solo un affare di buon cuore e di buon sentimento, ma uno stile organizzato di integrazione che rifugge dalla miscela di principi retorici e di accomodamenti furbi, e si alimenta soprattutto ad una testimonianza fattiva»; poi, l’invito alla collaborazione tra le Istituzioni, come opportunità preziosa e non rimandabile.
Quarto: l’attenzione puntuale per i deboli, «tanto più in un momento in cui la città vive, e deve continuare a farlo, un suo momento di crescita e di brillantezza». E, infine, il Primo cittadino scandisce: «Siamo liberi e ambiziosi curando e lenendo le nostre ferite e non disgiungendo mai crescita e solidarietà. E proprio qui potremo far spuntare il fiore di un futuro più giusto e più equo».
Per concludere il momento un poco eccezionale – come nota più di un Consigliere – si iscrivono a parlare ben 9 Capigruppo che tornano, per una volta concordi nell’unanime ringraziamento, sui temi cardine dell’intervento del Pastore: la famiglia (seppure con accenti, ovviamente, diversi per le singole appartenenze politiche), l’Europa e il Mediterraneo con le migrazioni, il pensare e il fare, il domani e le periferie.
La conclusione è all’Arcivescovo: «esprimo apprezzamento per il modo con cui è stato ascoltato il mio intervento che voleva essere solo una dichiarazione di buone intenzioni. Vi ringrazio della pertinenza dei vostri interventi e, soprattutto, del tono pacato e il fatto di individuare onesatmente le problematiche con la franchezza del confronto».