La terza giornata del pellegrinaggio si è aperta a Rieti, dove abbiamo ritrovato il Vescovo monsignor Vito Piccinonna, il più giovane alla guida di una diocesi italiana, il quale ha presentato la “traccia” offerta alla sua diocesi per l’attuale anno pastorale, dal titolo «Dare carne al Vangelo. Perché l’Amore mostri ancora il suo Volto».
L’Abc della vita cristiana
«Bisogna rilanciare l’Abc della vita cristiana e, dunque, della vita comunitaria», ha spiegato il presule. Tenendo sullo sfondo i verbi dell’esortazione apostolica di papa Francesco Evangelii Gaudium (2013), il Vescovo indica alla propria diocesi, molto anziana in quanto all’età media dei presbiteri e dei fedeli, come essere una «Chiesa in uscita» e sinodale.
Dopo l’incontro abbiamo visitato la basilica cattedrale di Santa Maria Assunta, il Palazzo papale (in cui soggiornarono i pontefici Innocenzo III, Onorio III, Gregorio IX, Niccolò IV e Bonifacio VIII) oggi sede del Vescovado, e il Museo civico, contenente tele, dipinti, icone, statue e manufatti provenienti da chiese incamerate dallo Stato al tempo della soppressione degli ordini religiosi, su tutti il bozzetto in gesso di “Ebe” firmato da Antonio Canova.
Greccio, culla di umiltà
Dopo un lauto pasto offertoci nel Palazzo del Seminario (con piatti tipici come le fregnacce alla sabinese e le ciambellette), siamo saliti a Greccio, dove siamo stati accolti da fra Antonio, che ci ha raccontato come la presenza di grotte e di ripari naturali fu vista dai primi frati come occasione propizia per vivere lo stile di vita povero e appartato dalla città ispirato dal Signore al Poverello di Assisi. Nel Natale 1223 un Francesco provato fisicamente dalla malattia infettiva contratta nel viaggio in Terra Santa (un glaucoma agli occhi che lo renderà progressivamente cieco) e preoccupato per la sorte della fraternità da lui fondata (da pochissimo era stata approvata la Regola dal Papa) ,sceglie di vivere qui la solennità natalizia, spinto dal ricordo del viaggio in Palestina, colpito com’era dalla povertà della grotta di Betlemme e dal pensiero dei disagi fra i quali il Figlio di Dio era venuto al mondo.
Per rivivere tutto questo non realizza un presepe come noi lo immaginiamo oggi, ma pone in una grotta, grazie all’amico e benefattore Giovanni, una mangiatoia con un bue e un asino che si cibano del fieno (senza persone o immagini che ricordino i protagonisti della Natività). È nella Eucaristia, celebrata in questo luogo insolito e curioso, che Francesco rivede il mistero kenotico dell’Incarnazione, l’umiliazione di Dio. Il Santo assisate, in quanto diacono, proclama il Vangelo e l’omelia che ”risveglia” la presenza di Cristo nei cuori dei presenti. Il fieno sarà poi usato per aiutare animali malati e donne con parti travagliati. Da allora sempre, ogni anno, viene celebrata l’Eucaristia a Natale. Qui oggi c’è la statua di un Gesù Bambino donato da papa Francesco che in questa grotta nel 2019 firmò la lettera apostolica Admirabile signum a 800 anni dal presepe.
Lo stile dell’Eucaristia
Dopo un tempo di silenzio, abbiamo celebrato la Santa Messa votiva del Natale del Signore, presieduta dall’Arcivescovo con omelia di monsignor Ivano Valagussa, Vicario episcopale per la Formazione permanente del Clero, il quale ci ha invitato a sostare sul mistero dell’Incarnazione che, come le testimonianze di questi giorni ci stanno dimostrando, continua semplicemente con quell’esserci che mostra l’esserci di Dio. La paglia di quella mangiatoia, diceva don Ivano, è la nostra condizione umana, il nostro stesso ministero. L’eucaristia è esperienza del Dio vicino, che si fa pane spezzato, dobbiamo guardare allo stile con cui celebriamo l’Eucaristia quotidiana. Siamo esortati a espropriarci di noi stessi regalando a Dio quella paglia nobilitata dall’incarnazione di Dio che è la nostra vita, una paglia che guarisce, che dona la speranza, è la paglia della santità.