La Diocesi di Milano, con la ripresa delle attività dopo la pandemia, ha potuto destinare quasi 69 milioni di euro alla cura pastorale, a quella amministrativa e ai progetti (soprattutto di carità) direttamente sostenuti sul territorio: un aumento del 32,4% rispetto ai circa 52 milioni del precedente anno pastorale. Lo riporta il nuovo “Bilancio di missione” presentato a fine giugno e relativo al 2022-2023 (vedi qui). Il rapporto contiene anche un’importante novità rispetto alla prima edizione: il bilancio aggregato delle 1.107 parrocchie della Diocesi e l’andamento della loro situazione debitoria, in forte riduzione negli ultimi anni grazie a una oculata politica finanziaria. Il Bilancio pubblica anche un ampio articolo di monsignor Luca Bressan, vicario episcopale per la Cultura, la carità, la missione e l’azione sociale, intitolato «L’identità della parrocchia». Ecco alcuni stralci.
La parrocchia deve questa sua caratteristica di visibilità, di diffusione e di accettazione tra la gente, alla sua natura specifica: è la figura più conosciuta della Chiesa per il suo carattere di vicinanza e di accoglienza. È la parrocchia in molti luoghi ad avere costituito il tessuto sociale locale, attraverso le trame di solidarietà che ha saputo generare. È ancora così in molti luoghi: di fronte alle ferite anche profonde generate nella società locale dai rivolgimenti geografici in atto (immigrazione, cambiamento della cultura e delle forme del mondo del lavoro, destrutturazione e moltiplicazione dei modelli di famiglia), la parrocchia si presenta come l’avamposto in grado di creare nuovi equilibri, di far emergere risorse e nuovi modi per abitare il futuro che avanza. Occorre tenere presente questa osservazione, proprio ora che ci accorgiamo delle fatiche della parrocchia e in parte del suo superamento (unità pastorali, comunità pastorali). Ci ricorda infatti che potremo parlare, e a ragione, della necessità di una riforma della parrocchia, ma solo a condizione di non abbandonare il carattere religioso e popolare (non settario) del cattolicesimo che essa rappresenta.
La parrocchia fa del quotidiano il terreno di incontro e di annuncio della memoria cristiana che custodisce, il luogo dentro il quale immaginare sempre nuove forme di ingresso al cristianesimo. Il reticolo parrocchiale che abbiamo ricevuto come testimonianza della fede del passato, il cattolicesimo che abbiamo ricevuto e che ci ha generato alla fede, è ciò che spesso definiamo nei termini di una fede popolare, di una Chiesa di popolo. […] La parrocchia è il luogo che permette a tutti, in ogni luogo, l’accesso alla fede cristiana: dando visibilità al cristianesimo, attraverso le sue strutture, le sue azioni, le sue persone e i suoi gruppi; aprendo punti di contatto, luoghi di incontro, ascoltando e trasformando le domande che i più pongono ancora oggi, bussando alle porte delle nostre chiese. […] Ovviamente… non significa dire che tutta l’esperienza cristiana deve per forza coincidere con la realtà parrocchiale. Alla parrocchia competono caratteri di esclusività, non di totalità. […] In questo insieme dinamico e complesso la parrocchia viene vista come la grammatica di base della vita di fede, lo strumento per la costruzione della Chiesa, per l’annuncio del Vangelo in un luogo. Uno strumento non autocefalo e nemmeno autarchico, che vede nel legame con il Vescovo e con la Diocesi il fondamento della propria identità e allo stesso tempo la garanzia della propria libertà, della propria ecclesialità e allo stesso tempo le condizioni della propria diversità, della propria capacità di adattarsi a ogni luogo e a ogni spazio sociale, dando origine a figure concrete di parrocchia anche molto diverse tra di loro.
La parrocchia resta unica e insostituibile, a fronte di altre realtà ecclesiali che invece dicono la gratuità dei doni dello Spirito (gli ordini religiosi storici, i movimenti e le realtà aggregative di più recente formazione). […] Intesa come spazio di vita cristiana, la parrocchia è in grado di rileggere in modo positivo le sfide che il cambiamento culturale in atto le chiede di vivere. Può cioè coglierle non più come elementi problematici, ma proprio come segni della sua esistenza e della sua vivacità: il rimando alla Chiesa delle origini, il primato dato all’Eucaristia e alla Parola, una visione più comunionale e partecipativa dell’istituzione che costruisce e fa vivere, un’attenzione più marcata ai percorsi e agli strumenti che incarnano la sua dimensione generativa (di iniziazione) alla fede cristiana, l’esigenza di una maggiore diversificazione e localizzazione delle sue strutture e delle sue iniziative pastorali, la purificazione delle attività sociali svolte in supplenza della società civile e il loro reindirizzamento verso l’accentuazione della loro dimensione educativa e caritativa, l’accoglienza e al tempo stesso il contenimento (la trasfigurazione) delle tante forme di religione civile e di identità territoriale che è chiamata a vivere (e quindi anche delle strutture murarie che è tenuta ad avere), la salvaguardia del carattere popolare e cattolico della sua immagine […].