«Vengo come pellegrino di pace in cerca di fraternità animato dal desiderio di pregare insieme anche con i fratelli e le sorelle di altre tradizioni religiose, nel segno del padre Abramo che riunisce in un’unica famiglia musulmani, ebrei e cristiani», sono queste le parole di papa Francesco rivolte al popolo iracheno alla vigilia della sua partenza, parole che racchiudono il senso e la profezia di questo viaggio, i cui cardini sono stati l’incontro con la comunità cristiana, il dialogo con l’Islam e l’incoraggiamento a uscire dalla crisi politica e sociale che l’Iraq vive da decenni.
È stato carico di significati il primo viaggio di un Pontefice in Iraq, la Terra dei due fiumi, dove nacque Abramo, padre delle tre religioni monoteiste, e il primo viaggio del Papa nel mondo trasformato dalla pandemia: un momento storico, un segno di speranza, un ulteriore passo nel cammino del dialogo interreligioso con l’altra metà del cielo islamico, quello sciita, e un passo avanti nella fratellanza universale.
Il viaggio si è infatti inserito nel solco tracciato in modo significativo innanzitutto ad Abu Dhabi, nel 2019, con il Documento sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune firmato con il Grande Imam d’Egitto, Ahmed Al-Tayyeb, la più alta autorità religiosa dell’Islam sunnita. Non è un caso che quest’ultimo, su Twitter, abbia incoraggiato il viaggio di «suo fratello il Papa» come lo definisce lui. Il passo successivo è rappresentato dall’enciclica Fratelli tutti, nella quale Francesco ha individuato nella fraternità e nell’amicizia sociale le vie possibili per costruire un mondo migliore e più giusto. I luoghi visitati, la gente incontrata, i gesti compiuti in Iraq si pongono in continuità e sono la concretizzazione di quanto proclamato nell’enciclica.
È stato anche un viaggio rivoluzionario compiuto in un quadro complesso, articolato e critico del Paese. Il messaggio del Papa – «Siete tutti fratelli» – sfida lo scenario iracheno attuale, alle prese con la presenza sciita delle milizie filo-iraniane, il terrorismo islamista dell’Isis, le ingerenze di potenze esterne come Turchia, Russia e Cina. Tutto ciò determina un contesto di instabilità enorme e persistente caratterizzato da atti terroristici, persecuzioni, conflitti etnici, crisi economica che, dallo scoppio della guerra contro Saddam Hussein nel 2003, ha portato tanti iracheni cristiani e musulmani a lasciare il Paese in una migrazione continua decimando in particolare la comunità cristiana.
«In questi anni l’Iraq ha cercato di mettere le basi per una società democratica. È indispensabile in tal senso assicurare la partecipazione di tutti i gruppi politici, sociali e religiosi e garantire i diritti fondamentali di tutti i cittadini. Nessuno sia considerato cittadino di seconda classe. Incoraggio i passi compiuti finora in questo percorso e spero che rafforzino la serenità e la concordia»: così papa Francesco si è rivolto alle autorità politiche e civili del Paese appena arrivato a Baghdad, accolto dal presidente Barham Ahmed Salih Qassim. Ha così voluto evidenziare e incoraggiare il desiderio dei leader religiosi cristiani e musulmani di coniugare diritti civili e libertà religiosa, visione spirituale e convivenza civile in un clima di tolleranza e inclusione, in nome di una pace non formale, ma vissuta concretamente.
Al cuore del viaggio ci sono due momenti importanti che hanno segnato una tappa fondamentale nel cammino del dialogo interreligioso. Il primo è indubbiamente l’incontro a Najaf – senza precedenti nella storia – con il grande Ayatollah ‘Ali Al-Sistani, una delle massime autorità dell’Islam sciita, fautore del dialogo, riconosciuto da molti iracheni e fedeli sciiti non solo come leader religioso e guida spirituale, ma anche come punto di riferimento politico per la determinazione con cui è intervenuto nelle questioni più dibattute degli ultimi vent’anni in Iraq, segnando passi decisivi e cambiamenti di rotta nella storia del Paese. Nell’incontro è apparso evidente che le visioni di Al-Sistani e Francesco siano entrambe orientate al bene della società. Come si evince dal comunicato stampa, papa Francesco ha sottolineato l’importanza della collaborazione e dell’amicizia fra le comunità religiose perché, «coltivando il rispetto reciproco e il dialogo, si possa contribuire al bene dell’Iraq, della regione e dell’intera umanità». Egli ha ringraziato Al-Sistani per essersi impegnato, insieme alla comunità sciita, «in difesa dei più deboli e perseguitati». Il grande Ayatollah da parte sua ha voluto assicurare il proprio impegno affinché «i cittadini cristiani vivano come tutti gli iracheni in pace e sicurezza, con tutti i loro diritti costituzionali». L’incontro ha avuto un forte valore simbolico anche per come è avvenuto e per quei gesti che, da parte di entrambi e oltre ogni formalità, hanno significato una sincera stima reciproca. È stato sicuramente un momento ormai entrato nella storia, perché ha diffuso un messaggio di pace nella popolazione irachena, provata da volenza e instabilità, perché potrebbe garantire maggiore sicurezza alla minoranza cristiana e perché certamente avrà una forte risonanza anche al di fuori del Paese per i rapporti tra Cristianesimo e Islam.
Il secondo momento di grande impatto è avvenuto a Nassiriya, nella piana di Ur dei Caldei. Commovente il discorso del Papa nel luogo delle nostre origini, alle sorgenti dell’opera di Dio, dove Abramo sentì la chiamata di Dio, partì per la terra promessa e iniziò quel viaggio che avrebbe cambiato la storia. «Dio chiese ad Abramo di alzare lo sguardo al cielo e di contarvi le stelle (cfr Gen 15,5). In quelle stelle vide la promessa della sua discendenza, vide noi. E oggi noi, ebrei, cristiani e musulmani, insieme con i fratelli e le sorelle di altre religioni, onoriamo il padre Abramo facendo come lui: guardiamo il cielo e camminiamo sulla terra». Entrambi i momenti sono stati definiti “storici” dal premier iracheno Mustafa al-Kadhimi, che per questa ragione ha dichiarato il 6 marzo Giornata nazionale della tolleranza e della coesistenza.
Il Papa ha poi proseguito verso Baghdad, dove ha celebrato la messa nella cattedrale di San Giuseppe in rito caldeo. Il giorno dopo si è recato a Erbil, nel Kurdistan iracheno, luogo in cui la minoranza yazida si è rifugiata perché perseguitata dall’Isis; poi è stata la volta di Mosul, città ormai diventata simbolo della potenza militare dell’organizzazione jihadista, nella quale si è raccolto in preghiera per le vittime della guerra e ricordando ancora una volta e instancabilmente che «la fraternità è più forte del fratricidio»; il viaggio è proseguito verso Qaraqosch nella Piana di Ninive, dove i cristiani sono sempre stati presenti, divenuta oggi un simbolo della persecuzione dell’Isis, con chiese e abitazioni distrutte.
La scelta di recarsi in Iraq, i luoghi visitati e le persone incontrate hanno un intenso valore simbolico. Francesco ha dato un forte segno di speranza, andando ancora una volta contro ogni logica di rivincita e scontro di civiltà, portando un messaggio di pace e speranza dove per troppo tempo hanno regnato odio e violenza. Ha riaffermato i principi di parità fra tutte le componenti etniche, sociali e religiose del paese, principi che trovano fondamento nel valore della cittadinanza, contribuendo a strappare la regione alla rassegnazione della legge del più forte e infondendo coraggio. È emerso ancora una volta l’atteggiamento nei confronti del pluralismo religioso, che il Papa intende non come una presa di coscienza di fronte ad un dato di fatto immodificabile, o come una resa al processo di secolarizzazione inarrestabile, ma come il riconoscimento di un dono di Dio e una base per fondare la libertà religiosa e il dialogo. Ha dunque compiuto un passo storico nel dialogo interreligioso, favorendo quel percorso di conoscenza reciproca e di stima tra cristiani e musulmani, necessario per costruire ponti e relazioni feconde.
Il teologo musulmano Adnane Mokrani sottolinea la coerenza del percorso tracciato da Francesco nel suo pontificato, perché non solo ha incontrato esponenti religiosi sia del mondo sunnita che sciita, ma ha anche difeso l’immagine dell’Islam distinguendola dal terrorismo; nel mondo arabo-musulmano ciò ha contribuito a conferire al Papa credibilità e fiducia permettendo di riconoscerlo come persona che cerca di creare relazioni autentiche e come coscienza profetica.
La preghiera innalzata a Ur può essere colta come sintesi di un viaggio di pace e fraternità nella comune radice nel Dio della promessa: «Ti chiediamo, Dio del nostro padre Abramo e Dio nostro, di concederci una fede forte, operosa nel bene, una fede che apra i nostri cuori a Te e a tutti i nostri fratelli e sorelle; e una speranza insopprimibile, capace di scorgere ovunque la fedeltà delle tue promesse» (Papa Francesco nella Piana di Ur).