Un inno alla gioia, pronunciato a braccio, dialogando con il milione e mezzo di ragazzi che lo attendono da ore. Un inno a camminare, ad andare in fretta, come fece Maria per raggiungere Elisabetta, secondo l’icona evangelica scelta per la Gmg 2023. E poi il coraggio, se si cade e si sbaglia, «di sapersi rialzare, di essere rialzati dagli altri».
L’omelia magnifica (leggi qui) – che scorre con una libertà lontana dal testo ufficiale -, nelle parole, negli sguardi, nelle espressioni di un anziano papa Francesco che ha mantenuto la promessa di farsi «contagiare, giovane tra i giovani», illumina una Veglia tanto attesa. Quella che inizia di mattino presto per i primi gruppi di pellegrini (tra cui i ragazzi ambrosiani) e che entra nel vivo già tre ore prima dell’inizio della celebrazione, con l’arrivo dei simboli: la croce lignea (che dal 1983 è stata portata nei cinque continenti sostando in quasi 90 Nazioni) e l’icona di Nostra Signora Salus Populi Romani, voluta nel 2003 da San Giovanni Paolo II.
L’Inno e le testimonianze
Per tutto il penultimo giorno della Gmg di Lisbona, si alternano sul palco artisti provenienti da tutto il mondo, mentre il Parco Tejo – ribattezzato per l’occasione Campo da Graça (Campo della Grazia) – si riempie sotto un sole che non dà tregua, in una spettacolare location insieme naturale e frutto del lavoro dell’uomo, con l’avveniristico ponte Vasco da Gama, lungo 12 chilometri.
Quando dai maxischermi, diffusi sui 90 ettari del Campo, che trasmettono in diretta ininterrottamente ogni momento della Giornata, appare il corteo di auto con al centro quella bianca di Francesco, un urlo collettivo attraversa la folla, come un’onda che cresce sempre più, fino agli ultimi tratti dell’itinerario percorsi a bordo della papamobile.
Sulle note dell’Inno, eseguito dall’Ensemble 23 composto da 210 cantori e 100 musicisti di 21 nazionalità diverse (tutti giovanissimi), tra canti e coreografie, si alternano le due testimonianze.
La prima, intitolata «L’incontro», è quella di don Ribeiro de Matos 33enne sacerdote portoghese. Una vita, la sua, impegnata in progetti sociali e politici, ma «vuota», fino a un incidente d’auto che fa riscoprire il Signore. Poi, sempre tra alti e bassi, tra un ingresso e un’uscita dal Seminario, la scelta definitiva di diventare prete, nel 2021. Lo stesso anno in cui, dall’altra parte della Terra, nella regione settentrionale del Mozambico, Marta Luis, 18 anni, provava, insieme all’intera famiglia, la tragedia degli attacchi terroristici al suo villaggio. Un racconto sofferto, dal titolo «Alzati», che morde nella carne il popolo immenso della Gmg, incantato quando appaiono gruppi di droni che, in diverse lingue, disegnano nel cielo le parole guida dell’intero incontro mondiale, Rise up (Alzati) e Follow me (Seguimi).
«Alzatevi, camminate, non abbiate paura»
Così come fece Maria, e come può fare oggi ognuno di noi seguendo il Signore, dice il Papa all’inizio della sua riflessione, salutando i giovani con un semplice e amichevole, «che bello vedervi. Grazie a chi ha viaggiato per esser qui», perché – aggiunge -, «la gioia è missionaria, non è per noi stessi, è da portare agli altri. Io vi chiedo: voi che siete venuti a cercare qui un senso della vita, lo terrete per voi o lo porterete agli altri?».
«Se ci guardiamo indietro, vediamo persone che sono state raggi di luce, radici di gioia – i genitori, i nonni, preti e suore, catechisti, animatori, insegnanti – e tutti possiamo essere queste stesse radici per gli altri», suggerisce. Ma in che modo? Sapendo che «la gioia non è in una biblioteca chiusa e bisogna studiare. La gioia occorre cercarla, scoprirla nel dialogo, anche se questo qualche volta stanca».
«Vi siete stancati qualche volta?», domanda ancora ai pellegrini, offrendo subito la risposta: «Pensa a cosa succede quando sei stanco, non hai voglia di fare niente. Uno si lascia andare, smette di camminare e cade. Voi credete che una persona che cade nella vita, che ha fatto qualcosa di grave, sia un fallimento, che sia finita? No. Che cosa deve fare? Alzarsi».
Il riferimento è «a un canto molto bello degli alpini che dice: “Nel salire la montagna quello che importa non è non cadere, ma non rimanere per terra”. Chi rimane per terra è un pensionato della vita, ha chiuso con la speranza. Quando vediamo qualcuno che è caduto, cosa dobbiamo fare? Aiutarlo a rialzarsi. L’unico momento in cui è permesso guardare una persona dall’alto verso il basso è per aiutarla ad alzarsi».
Una frase che il Santo Padre ripete tra gli applausi due volte prima di un riferimento al calcio come simbolo delle fatiche dell’esistenza. «Vi piace il football? A me sì. Dietro un gol, un successo, c’è moltissimo allenamento. Bisogna alzarsi, non rimanere per terra e allenarsi a camminare. Portiamoci per mano». Anche perché «nella vita niente è gratis e tutto si impara. C’è solo una cosa gratis: l’amore di Gesù. Con questo ”gratis” camminiamo nella speranza».
Sembra di risentire la voce di Giovanni Paolo II, quando il suo attuale successore, con un sorriso, ripete quel «Non abbiate paura», che ha segnato la vita di intere generazioni, dei ragazzi delle Gmg di ieri e di oggi.
Infine, sulle note dell’Ave verum, ai piedi dell’altare e della grande croce che, luminosa, domina il palco, l’esposizione del Santissimo sacramento per l’adorazione e la preghiera personale nel silenzio assoluto, rotto solo dal canto struggente di un fado, prima della solenne benedizione e del canto del Magnificat, nella notte ormai scesa.