Bad news is good news, recita una massima del giornalismo americano. Le cattive notizie sono buone notizie. Una regola aurea che si fonda sulla convinzione che il pubblico sia più coinvolto da quegli eventi drammatici che toccano le corde dell’emotività. Quando, però, la narrazione della realtà si appiattisce completamente sulla dinamica della negatività «dove vale la logica che una buona notizia non fa presa e dunque non è una notizia, e dove il dramma del dolore e il mistero del male vengono facilmente spettacolarizzati», il rischio è di «essere tentati di anestetizzare la coscienza o di scivolare nella disperazione». A richiamare l’attenzione è Francesco nel messaggio per la 51a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali: «“Non temere, perché io sono con te” (Is 43,5). Comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo». Il Papa invita a «spezzare il circolo vizioso dell’angoscia e arginare la spirale della paura, frutto dell’abitudine a fissare l’attenzione» sulle cattive notizie: guerre, terrorismo, scandali e fallimenti nelle vicende umane.
Occhiali per guardare
Francesco non chiede di ignorare i drammi del nostro tempo, come le moltitudini di migranti che cercano a fatica una terra che li accolga, o le disuguaglianze sociali che spingono i poveri sempre più in basso. Lo aveva già detto in una delle prime udienze dopo l’elezione: «Un abbassamento di dieci punti nelle borse di alcune città, costituisce una tragedia. Uno che muore non è una notizia, ma se si abbassano di dieci punti le borse è una tragedia!». Piuttosto, fedele al principio di realtà da cui non si può derogare, il Papa spiega che non è sua intenzione «promuovere una disinformazione in cui sarebbe ignorato il dramma della sofferenza, né di scadere in un ottimismo ingenuo che non si lascia toccare dallo scandalo del male»; al contrario, lo sforzo deve essere orientato a «oltrepassare quel sentimento di malumore e di rassegnazione che spesso ci afferra, gettandoci nell’apatia, ingenerando paure o l’impressione che al male non si possa porre limite».
È a questa accettazione passiva di un mondo che sembra impossibile cambiare che Francesco oppone la ricetta di «uno stile comunicativo aperto e creativo, che non sia mai disposto a concedere al male un ruolo da protagonista, ma cerchi di mettere in luce le possibili soluzioni, ispirando un approccio propositivo e responsabile nelle persone a cui si comunica la notizia». «La realtà, in sé stessa, non ha un significato univoco» precisa il Papa: «Tutto dipende dallo sguardo con cui viene colta, dagli ‘occhiali’ con cui scegliamo di guardarla: cambiando le lenti, anche la realtà appare diversa».
Per i cristiani, l’unico occhiale adeguato per decifrare la realtà non può che essere quello del Vangelo: la «buona notizia che è Gesù stesso non è buona perché priva di sofferenza, ma perché anche la sofferenza è vissuta in un quadro più ampio, parte integrante del suo amore per il Padre e per l’umanità».
Testimoni di un’umanità nuova
Al suo quarto messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali – dopo aver parlato di cultura dell’incontro, famiglia e misericordia -, Francesco entra nelle dinamiche dell’informazione e ribalta il paradigma della negatività: «Ogni nuovo dramma che accade nella storia del mondo diventa anche scenario di una possibile buona notizia, dal momento che l’amore riesce sempre a trovare la strada della prossimità e a suscitare cuori capaci di commuoversi, volti capaci di non abbattersi, mani pronte a costruire».
«Essere “testimoni” e comunicatori di un’umanità nuova, redenta», è l’ispirazione a cui tendere, nella persuasione che è «possibile scorgere e illuminare la buona notizia presente nella realtà di ogni storia e nel volto di ogni persona». In bad news, good news.