Sull’esempio di San Paolo VI trovare un rimedio alle malattie del pensiero di oggi. È questo che l’Arcivescovo ha indicato ai circa 150 ambrosiani, tra sacerdoti e diaconi di tutte le età, che hanno vissuto una giornata a Concesio (Brescia), città natale di Giovanni Battista Montini. «Pellegrini di speranza»: questo il titolo del pellegrinaggio promosso dalla Formazione permanente del Clero, nel quale i partecipanti hanno approfondito la figura di Montini attraverso la visita alla sua casa natale, al Museo e al Centro studi “Paolo VI”, dove in mattinata Gilles Routhier (docente di Ecclesiologia e Teologia presso l’Università Laval del Québec, tra i massimi studiosi del Concilio Vaticano II) ha approfondito il tema «Portare in sé l’eredità della Gaudium et Spes».
Nel pomeriggio la celebrazione eucaristica, presieduta in rito ambrosiano da monsignor Delpini nella Basilica dei Santi Antonino Martire e Paolo VI papa, antichissima pieve risalente al 1000, oggi basilica romana minore, dove il futuro Pontefice fu battezzato il 30 settembre 1897 e dove molto, all’esterno e all’interno, tra oggetti, reliquie, opere d’arte e soprattutto l’area del battistero, parla di lui.
Accanto all’Arcivescovo, sull’altare maggiore, il vescovo di Brescia, monsignor Pierantonio Tremolada (ambrosiano di nascita), altri due vescovi – il vicario generale Franco Agnesi e Giuseppe Vegezzi, vicario episcopale per la Zona I – e il Moderator Curiae, monsignor Carlo Azzimonti. Presenti anche i Vicari di Zona e alcuni di Settore, insieme all’Equipe della Formazione permanente del Clero. A tutti si è rivolto l’Arcivescovo, parlando del pellegrinaggio come di «un’occasione di fraternità e di gioia» e ricordando la recente visita di tutti i Vescovi lombardi a Sotto il Monte e alla stessa Concesio, sviluppatasi sulle orme di San Giovanni XXIII e Paolo VI, per sottolineare l’importanza di Bergamo e Brescia, insieme quest’anno capitale italiana della cultura. Il pensiero non poteva che tornare, quindi, all’esemplarità montiniana e al Concilio di fronte alle «malattie del pensiero di oggi», su cui si è soffermato l’Arcivescovo.
Il pensiero malato e ottuso
«Le malattie del pensiero forse non sembrano neanche malattie. Addirittura alcune sembrano buon senso, altre aggiornamento, sviluppo del pensiero critico. Le malattie del pensiero possono anche essere pericolose: il pensiero malato fa nascere parole sbagliate, atteggiamenti indifendibili, comportamenti insopportabili. Per il clero, poi, sono anche più pericolose perché i preti, i diaconi vanno sul pulpito e la parola proclamata dal pulpito è considerata come “parola della Chiesa”. Perciò se, predicando, diciamo parole che vengono da un pensiero malato, facciamo torto alla Chiesa».
E, ancora, il pensiero ottuso, quello che ripete i luoghi comuni, «che ritiene ovvio quello che tutti dicono e quello che appare. Il pensiero ottuso pascola tra le parole logore, tra i luoghi comuni, nella ripetizione di quello che si è sempre fatto e detto. Le domande che sorgono dentro o che sfidano fuori sono considerate antipatiche. Il pensiero ottuso si dà molta importanza proponendo citazioni autorevoli e pensieri di altri, anche per evitare la fatica di avere un pensiero proprio».
Il pensiero sprezzante e rassegnato
«È il pensiero che giudica i pensieri altrui come sorpassati, scontati. È tipico di un animo presuntuoso che non ascolta perché non ha stima di chi parla. Il pensiero sprezzante è ossessionato dall’essere aggiornato, dal conoscere l’ultima novità scientifica, tecnologica, l’ultimo titolo del giornale, l’ultima statistica sociologica e l’ultima parola dello scienziato famoso. Il pensiero sprezzante arriva a squalificare anche secoli di storia e pensatori illustri liquidando con poche battute saccenti tanta profondità e stupefacenti genialità che hanno arricchito la storia del cristianesimo».
Ma il pensiero malato è anche, per l’Arcivescovo, il pensiero rassegnato: «Il pensiero rassegnato si sente imporre il limite come evidenza, la morte come indiscutibile e si rassegna alla persuasione che si viva per morire. Il pensiero che alimenta la speranza e predispone alla meraviglia è considerato ingenuo, motivato da un desiderio di infondata consolazione piuttosto che dalla verità più grande e bella del pensiero umano».
L’esemplarità di Paolo VI
Da qui il richiamo a Paolo VI, che «ha riconosciuto le malattie diffuse nel pensiero del suo tempo, intrattenendo un confronto costante e approfondito, cercando l’incontro, provando simpatia per gli intellettuali e coltivando durature amicizie. Con la sua intelligenza, con la sua finezza, con la sua cultura ha incoraggiato le diverse manifestazioni del pensiero, ecclesiastico e laico, teorico e pratico, artistico e letterario a percorrere le vie per rimediare alle malattie del pensiero», ha scandito l’Arcivescovo, sottolineando l’originalità del pensiero cristiano: «Originali non per esibizionismo, ma per docilità alla verità rivelata da Gesù. L’originalità fa talora sperimentare la solitudine, il giudizio severo dei conformisti, il disprezzo di quelli che sono aggiornati, ma è un modo di stare con Gesù e di essere a servizio della verità che è Gesù stesso».
E tutto questo vivendo come donne e uomini della speranza, che «accolgono con gratitudine la promessa della vita eterna perché si vive in modo diverso quando si crede che la destinazione inevitabile non è la morte, ma l’incontro definitivo e l’abbraccio del Padre». Senza dimenticare che il popolo di Dio non può mai disprezzare nessuno, perché «la caratteristica del pensiero dei discepoli è di essere in ascolto della parola che convince a mettersi in cammino».
Il saluto di monsignor Tremolada
Infine, al termine della celebrazione, il saluto del vescovo Tremolada, che ha espresso la sua «felicità e gioia nel vedervi qui. Siamo nel paese natale di Paolo VI: io a Brescia ho meglio capito la sua spiritualità. Vedere i luoghi dove è nato e cresciuto, quelli che ha amato, mi ha aiutato a entrare nel suo segreto. Qui si capisce meglio ciò che rimane ancora un poco nascosto di lui e si apprezza davvero la sua indole di uomo mite, buono, modesto, desideroso di aprirsi a tutti senza far pesare nulla di sé. Credo che questi aspetti siano profondamente attuali».