Nella grande Basilica di San Paolo fuori le Mura – una delle quattro papali di Roma -, quasi vegliati dalle centinaia di medaglioni musivi a mosaico che si succedono ritraendo i Pontefici da Pietro a Francesco, si celebra la Messa di ringraziamento per la canonizzazione di Paolo VI, presieduta dal cardinale Francesco Coccopalmerio. All’indomani del grande momento vissuto in piazza San Pietro, i pellegrini bresciani e milanesi pregano insieme con i loro Pastori, i sacerdoti e oltre 200 seminaristi.
Al sentimento di tutti dà voce, in apertura dell’Eucaristia – concelebrata dal cardinale Giovanni Battista Re, dai Vescovi ausiliari di Milano, dai residenti in Diocesi ambrosiana, dai presuli di origine bresciana monsignor Francesco Beschi e Domenico Sigalini – monsignor Pierantonio Tremolada, vescovo di Brescia e ambrosiano di nascita che porta anche il saluto dell’arcivescovo Delpini, impegnato in Vaticano nei lavori del Sinodo sui giovani: «Sentiamo una grande gioia per l’evento atteso della canonizzazione che ci ha inondato il cuore di commozione. Siamo qui a esprimere concretamente, con l’Eucaristia, questo ringraziamento al Signore per il dono di un Papa santo».
Da un commosso ricordo personale si avvia l’omelia del cardinale Coccopalmerio, ordinato il 28 giugno 1962 in Duomo dall’allora arcivescovo Montini: «Egli fu decisivo per la mia vita, proprio perché mi ha ordinato prete. Eravamo 30 diaconi allora e 5 di questi miei compagni sono con me, qui oggi. Sentiamo la sua presenza dal paradiso molto forte in mezzo a noi».
Le Letture bibliche e il Salmo responsoriale – «Il Signore è il mio Pastore, non manco di nulla» – tracciano, osserva ancora il Cardinale, la figura stessa di Paolo VI: «Quell’amore che Gesù ha chiesto a Pietro (come si legge nel Vangelo, appena proclamato, di Giovanni al capitolo 21), è stato donato veramente da San Paolo VI: basti pensare alle sue espressioni di amore verso Cristo. Montini ebbe sempre, infatti, il pensiero e la mente di Gesù, per questo è stato buon pastore perché ha capito Gesù e lo ha fatto capire agli altri». Ebbe, insomma lo Spirito descritto nel Libro del profeta Isaia (uno stralcio viene proposto come prima Lettura) e delineato dall’Epistola, il secondo capitolo della I Lettera paolina ai Corinzi.
L’invito è riflettere sulla prima Enciclica montiniana, Ecclesiam Suam promulgata il 6 agosto 1964, nello stesso giorno in cui, nel 1978, Paolo VI sarebbe tornato alla Casa del Padre: «La dettò durante il Concilio per far capire il suo pensiero, la sua passione per la Chiesa». Enciclica profetica, la cui terza parte è dedicata al dialogo. «Mi pare che questa sia un’intuizione che indica un modo di atteggiarsi che la Chiesa ha riscoperto con il Vaticano II». Questione importante – sottolinea ancora il Cardinale – «per quella vera conversione pastorale di cui tutti abbiamo bisogno». Non a caso, il neo Santo scrive: «Daremo a questo interiore impulso di carità che tende a farsi esteriore dono di carità, il nome di dialogo».
Quindi il dialogo è comunicare Gesù, certo, ma come? «Bisogna accostare il mondo e parlargli in un dialogo, appunto, adattato all’interlocutore e alle circostanze di fatto. Ma, ancor prima di parlare, si deve ascoltare la voce, anzi il cuore dell’uomo e rispettarlo». E, questo, non in un senso generale che non riesce mai a penetrare nella reciprocità, ma guardando l’altro, per così dire, negli occhi: «Paolo VI sa che si comunica a persone concrete: con il Concilio, così, si riscopre non tanto la persona umana nella sua generalità, ma nella sua singolarità. Uno dei messaggi più preziosi che ci sta offrendo oggi anche papa Francesco».
Poi, quello che Coccopalmerio definisce «un passo avanti»: «È necessario comunicare Cristo, ma lo è anche ascoltare, cogliendo il dono che ciascuno può dare alla Chiesa con le proprie peculiarità. Questa è la sinodalità fatta di ascolto e di passione per l’ascolto». Facile, in tale contesto, pensare ai richiami che già emergono dal Sinodo.
Da qui due conclusioni, «al contempo pastorali e spirituali». «Se non riscopriamo la persona nella sua singolarità, non riusciamo a cogliere la sinodalità. La Chiesa, infatti, è sinodale perché ciascuno, quale persona irripetibile, deve partecipare alla sua vita». La conversione dei presbiteri, dei parroci, di chi ha responsabilità pastorale, sta in questa dinamica.
«Ascoltiamo i nostri fedeli – che devono, a loro volta, uscire dalla chiusura in loro stessi – perché possano darci i doni dello Spirito che altrove non possiamo trovare. Questa è conversione sia pastorale, sia spirituale. Credo che papa Francesco ci stia offrendo questa che chiamo, talvolta, “ermeneutica della persona”. Chiediamo a Paolo VI di essere ancora nostro Pastore, di darci lo spirito del pensiero di Cristo, facendoci tornare da questo pellegrinaggio arricchiti, desiderosi di imitarlo come fedele innamorato di Dio con quella passione e fede di cui ci ha dato piena testimonianza», conclude il Cardinale che, al termine della Celebrazione, chiede a tutti una preghiera «perché in questo momento – dice- ne ho particolarmente bisogno».