Le parole del Vangelo che sono una via maestra per capire – oggi come 2000 anni fa – il nostro essere discepoli del Signore, definendo, al contempo, il carattere peculiare della comunità cristiana sull’esempio di quella dei primi discepoli. È questa la logica con cui l’Arcivescovo, nella sua Proposta pastorale 2021-2022, indica i brani del Vangelo di Giovanni, dai capitoli 13-17, quale icona biblica di riferimento, affidandone l’approfondimento a don Isacco Pagani, prorettore del Biennio teologico del Seminario di Venegono, docente di Sacra Scrittura e studioso in particolare dei Vangeli. «Questi brani, tradizionalmente, vengono chiamati i discorsi di addio di Gesù – spiega -. Ci troviamo nella parte del racconto giovanneo che va dalla lavanda dei piedi fino a poco prima del suo arresto. In questa parte, oltre alla lavanda, Gesù spiega il gesto ai discepoli e rilegge quanto ha insegnato loro, consegnando tutto ciò che è utile per poter poi comprendere le vicende della sua Passione e della Risurrezione. Sono i discorsi che servono a preparare i discepoli a comprendere quello che vivranno».
Quindi, possono essere utili per preparare anche noi?
Certamente, ed è interessante notare ciò che gli studiosi pensano di questi capitoli che, probabilmente, sono stati scritti a più riprese e, pur, facendo riferimento agli stessi temi, si rifanno a situazioni storiche diverse. Faccio un esempio: nei capitoli 13-14, Gesù tratta del gesto della lavanda dei piedi e del fatto che lui, poi, non sarà più presente fisicamente. La grande domanda, che attraversa questa prima parte del discorso è come si fa a credere in Gesù e a sentire che c’è anche se non c’è più. Se passiamo ai capitoli 15-16, invece, gli stessi temi vengono ripresi, ma con una sfumatura differente: comincia a emergere il problema della persecuzione, del rifiuto da parte del mondo. Qui l’interrogativo ulteriore è come essere testimoni e continuare a essere discepoli in una situazione ostile. Il capitolo 17 è ancora diverso: si parla di una situazione dove emerge l’odio del mondo. I discepoli – e, quindi, anche noi – si accorgono che la Chiesa deve abitare questo mondo dentro le sue contraddizioni, essendo, insomma, nel mondo, ma non del mondo. Come si vede i temi affrontati sono molti.
La comunità dei primi discepoli viene aiutata a comprendere tutto questo in un cammino che oggi chiamiamo di sinodalità, di libertà e di gioia. Sono questi i tre cardini attraverso cui leggere le pagine giovannee nella prospettiva della Proposta pastorale?
L’aspetto interessante che l’Arcivescovo suggerisce, mi pare, è che, facendo memoria delle parole di Gesù, la comunità dei discepoli si è compresa nella storia. Non si tratta, dunque, dell’intenzione di dover essere lieti e liberi – quasi fosse un compito da adempiere -, ma di assumere tali provocazioni come porte di accesso alla storia. Queste sono le parole che Gesù ci ha dato e le prospettive attraverso cui ci insegna a guardare la storia che è fatta, certamente, di fatiche, di contraddizioni, attraversate anche dalla prima comunità giovannea. È dentro questi cambiamenti e problemi che anche oggi dobbiamo provare a guardare tutto questo, comprendendolo secondo l’essere lieti di quell’unità e libertà e gioia piena che vengono solo dal Signore.