Padre Piero Parolari, il missionario del Pime in Bangladesh che questa mattina è stato ferito a Dinajpur «sembra fuori pericolo». A dirlo è suo fratello don Enrico, prete ambrosiano. «Pare che gli abbiano sparato, ma grazie a Dio il proiettile gli ha attraversato i muscoli del collo e le parti molli della nuca, dalle prime due tac sembra non abbiano toccato nulla di vitale». E aggiunge: «Era in bicicletta ed è caduto per i colpi che ha subito: l’hanno ricoverato a Dinajpur, poi da lì – anche su interessamento della Farnesina, dei missionari e dell’ambasciatore – è stato portato in elicottero all’ospedale militare di Dhaka, la capitale».
Ora i medici stanno procedendo con il check-up, per verificare il trauma cranico, «pare che ci siano anche lesioni allo zigomo e all’osso temporale», dice don Enrico. «A una prima visita i medici confermano che non dovrebbe essere in pericolo di vita».
In effetti don Parolari è cosciente, ha riconosciuto i confratelli e parla. Al momento ci sono con lui padre Franco Cagnasso, il superiore provinciale padre Michele Brambilla e un missionario saveriano che fa il medico a Dinajpur. È già andato a trovarlo anche padre Gian Paolo Gualzetti, anche lui missionario del Pime a Dhaka e lecchese.
Rispetto all’agguato ci sono ancora poche notizie, ammette don Enrico, «ma sono tutti sicuri che gli abbiano sparato, anche se non ci sono ancora state rivendicazioni».
Quando nel settembre scorso sono stati aggrediti a Dhaka due cooperanti (l’operatore umanitario italiano Cesare Tavella, rimasto ucciso, e un agricoltore giapponese, ndr), continua don Enrico, «la polizia aveva radunato i missionari di Dinajpur raccomandando loro di essere prudenti e di non percorrere la stessa strada. So che mio fratello per qualche giorno non è uscito di casa. Girando in bicicletta ed essendo missionario è molto visibile». In ogni caso non c’erano ragioni particolari per tendere un agguato a padre Piero, «perché non aveva controversie di alcun tipo».
Ora i più informati sulla situazione sono i missionari del Pime presenti in Bangladesh che seguono da vicino il confratello che al momento è ricoverato per nuovi accertamenti.
Padre Piero (64 anni), originario di Lecco, ordinato sacerdote nel 1984 era partito l’anno successivo per il Bangladesh, dove nella diocesi di Rajshahi ha messo a disposizione le sue competenze in maniera particolare per il servizio agli ammalati di tubercolosi. Nel 1990 il Pime ha aperto un centro specificamente dedicato alla cura di questa malattia ancora diffusissima in Bangladesh; una struttura che ha offerto aiuto in questi anni a decine di migliaia di persone, di ogni religione ed etnia. Accanto al suo servizio di medico padre Parolari svolge poi il servizio pastorale nella parrocchia di Suihari, che riunisce una cinquantina di villaggi intorno a Dinajpur, che distano dai 3 ai 65 chilometri.
L’85% della popolazione del Bangladesh è musulmana, il 10% è di fede indù, poi c’è una minoranza buddhista, mentre i cristiani – sparsi in diverse aree del Paese – non superano lo 0,4%. Nonostante la situazione difficile – dopo gli attentati di settembre – pochi giorni fa i missionari del Pime in Bangladesh avevano celebrato la loro assemblea alla presenza del vicario generale dell’Istituto, padre Davide Sciocco. Rinnovando la loro decisione di rimanere al fianco degli ultimi anche in questo momento difficile.
«Il mio principio – diceva padre Parolari due anni fa in un’intervista – è la centralità della persona, che ascolto, curo dal punto di vista medico, umano, spirituale. Il rapporto con le autorità locali è buono e si coopera attraverso i dispensari». Nel suo stile missionario, il religioso tiene dunque insieme l’annuncio del Vangelo e la cura dei malati. I lecchesi hanno sempre seguito con attenzione il suo impegno missionario in Bangladesh e ora seguono con apprensione e con la preghiera l’evolversi della situazione.