«È un momento in cui la visione ecclesiologica di papa Francesco si confronterà con un problema specifico, grave e profondo». Padre Federico Lombardi, direttore per dieci anni (2006- 2016) della Sala Stampa Vaticana, non esita a definire il summit che dal 21 al 24 febbraio raduna in Vaticano almeno 180 persone – tra capi dicastero, presidenti di Conferenze episcopali di tutto il mondo e rappresentanti di Chiese orientali -, «un test della riforma della Chiesa come popolo di Dio in cammino in relazione agli atteggiamenti dei vescovi e dei semplici fedeli e all’esercizio dei rapporti d’autorità».
Padre Lombardi, che sarà moderatore dei lavori, riconosce che questo incontro convocato dal Papa si colloca in un momento storico di maggiore attenzione sulla piaga degli abusi commessi dal clero su minori e adulti vulnerabili, specie dopo le vicende dello scorso anno in Cile (caso Karadima) e negli Stati Uniti (l’ex arcivescovo di Washington, Teodore McCarrick), entrambi sfociati nella riduzione allo stato laicale. Fatti, aggiunge il gesuita, su cui Bergoglio ha molto vigilato e per questo «ha scritto una lettera al popolo di Dio, e prima ancora alla comunità cilena, per coinvolgere tutti i battezzati ad affrontare questa problematica in modo profondo».
Come leggere questo incontro in Vaticano nel pontificato di Papa Francesco?
Si tratta di un passo importante che va messo in relazione con l’altro atto di papa Benedetto XVI, la lettera ai cattolici d’Irlanda, documento principale del suo pontificato, che era però diretto a una Chiesa particolare. Mentre Francesco allarga la prospettiva all’intero pianeta, cifra distintiva del suo pontificato.
Ci sarà spazio per l’ascolto di alcune vittime di abusi?
Il tema è centrale. Ma è chiaro che un incontro articolato in quattro giorni non può dedicare uno spazio di tempo ampio all’ascolto delle persone abusate. Per questo gli organizzatori hanno chiesto a chi verrà di impegnarsi nel periodo di preparazione ad ascoltare queste persone. Proprio per avere un tempo di ascolto più lungo da parte dei singoli partecipanti nel Paese di provenienza e nelle situazioni pastorali concrete. Questo è utile per prendere coscienza della gravità del problema in loco. Nel corso dei lavori in Vaticano si alterneranno alcune testimonianze in video ad altre dal vivo, anche se per tempi limitati, durante la preghiera della sera e in forma anonima.
Ma è indubbio che non basterà un incontro solo per cambiare modi di approcciare la questione…
Bisogna capire che ogni cosa impegnativa richiede molto tempo. È vero anche che la soluzione lungimirante del problema non è solo nelle procedure canoniche nei diversi Paesi per affrontare e punire i crimini. Ma è anche nella prevenzione che chiama in causa l’educazione e la formazione nelle famiglie, nelle comunità, la formazione degli operatori pastorali e del clero, aspetto quest’ultimo fondamentale. Ci dobbiamo domandare come vengono selezionati i candidati al sacerdozio e alla vita religiosa, se si guarda con attenzione alla loro maturità psicologica e all’equilibrio della personalità. Tutte cose che vanno affrontate e richiedono impegni di formazione permanente e personale capace. Occorre anche consigliare le comunità parrocchiali, il che richiede un cammino lungo e impegnativo.
È previsto un documento al termine dell’incontro?
Non è previsto attualmente un documento conclusivo in quanto tale. A tirare le fila sarà papa Francesco domenica 24 febbraio, con un discorso dopo la Messa. Durante i quattro giorni ci aspettiamo molti spunti che raccoglieremo. Subito dopo gli organizzatori si incontreranno per fare il punto sulle idee emerse e poi si confronteranno con capi dicastero e responsabili della Curia romana per dare un seguito ai suggerimenti proposti. Non solo i singoli partecipanti, una volta rientrati nei rispettivi Paesi, saranno impegnati nel coinvolgimento delle diocesi di appartenenza, ma anche il governo centrale della Chiesa darà seguito al processo di cambiamento in atto da tempo».