«Il clima che abbiamo respirato durante la seconda Sessione del Sinodo universale è stato decisamente positivo e costruttivo, anche perché, avendolo già vissuto l’anno scorso, non è mancata la voglia di ritrovarsi insieme. Questo ha permesso anche un approfondimento dei lavori e una maggiore fiducia reciproca, che ha portato anche a una posizione condivisa». Padre Giacomo Costa, gesuita, segretario speciale dell’assise, racconta come si sia svolta l’Assemblea e lo spirito che l’ha animata.
Si è proseguito con la dinamica dell’ascolto?
Sì, abbiamo continuato a esercitarlo in maniera intensa, proprio come stile e desiderio che ciascuno possa contribuire e che, insieme, si possa realizzare un ascolto più profondo di cosa ci sta dicendo il Signore e di quali siano i passi che lo Spirito ci suggerisce. Questo atteggiamento fondamentale non è qualcosa di straordinario, ma quanto siamo chiamati tutti a vivere nella vita ordinaria delle nostre Chiese.
Ha contribuito anche il metodo della conversazione nello Spirito?
La conversazione nello Spirito è finalizzata al discernimento e va adattata ogni volta alla situazione in cui ci si trova. L’anno scorso l’obiettivo principale era fare emergere la ricchezza delle esperienze – la conoscenza di mondi e di una Chiesa abbastanza lontana da quello che si è soliti immaginare -, in modo da identificare le preoccupazioni e le questioni comuni, come pure le priorità. Quest’anno, invece, la conversazione nello Spirito doveva aiutare, a partire da quanto le diverse Chiese hanno detto, a focalizzare la riflessione teologica per restituire al Santo Padre e a tutte le Chiese degli orientamenti concreti su come essere Chiesa sinodale in missione.
Il Papa ha annunciato che non ci sarà un’esortazione postsinodale, ma l’assise ha prodotto un documento finale…
Bisogna chiarire che questo documento ha valore magisteriale: il Papa l’ha firmato, per cui non è un documento solo dell’Assemblea, ma acquisisce il valore delle altre esortazioni apostoliche e dei documenti del Magistero ordinario del Santo Padre. Le Chiese sono chiamate a confrontarsi con questo testo. Ci saranno poi cammini, processi di verifica, di ascolto, d’inculturazione di questo documento da parte delle Chiese, con quello stile di dialogo che vuole il Santo Padre. Che da una parte, firmando il documento, ha assunto il lavoro che le Chiese hanno fatto e, dall’altra, rimandandolo alle Chiese stesse, richiama la loro responsabilità. Il documento precisa che l’autorità di un vescovo è insopprimibile (non si vuole un appiattimento democraticista), ma anche che non è assoluta, prescindendo da tutti gli altri battezzati: ogni vescovo è strettamente legato alla Chiesa che gli è affidata. Mi sembra importante anche evidenziare che il documento finale non può essere ridotto ad alcune indicazioni concrete, che pure vi sono contenute (per esempio sui Consigli pastorali), perché c’è un più ampio orizzonte di Chiesa che va capito anche a livello locale e connesso a quanto stiamo vivendo.
Un esempio?
È stata molto sottolineata la mobilità che caratterizza i nostri tempi, sia a livello urbano, sia di migrazioni e di confini che cambiano con la migrazione digitale; questo ci deve far capire il “luogo” in cui le Chiese vivono, in una maniera diversa. Siamo chiamati a crescere come comunità missionaria di discepoli.
Terminata la seconda Sessione, continua la riflessione a livello delle commissioni di lavoro. La palla quindi passa alle Chiese locali…
Questi tavoli sono un frutto del percorso sinodale, ponendosi come modalità per rendere concreta l’azione sui punti che l’assise ha raccomandato al Santo Padre e che non potevano essere affrontati in un gruppo numeroso per un tempo limitato. Sono laboratori di sinodalità dove collaborano, con il coordinamento della Segreteria del Sinodo, i Dicasteri della Curia romana, esperti teologi e pastori dei diversi continenti per una lettura integrata della realtà. Questi gruppi di studio, a giugno 2025, dovranno rendere conto del loro lavoro e già offrire al Santo Padre delle indicazioni, nella logica di un lavoro che porti a un’unità che non è un’omologazione, ma il rispetto e, anzi, la valorizzazione di un reciproco scambio di doni.