Il legame tra il Sinodo e la Gmg di Panama «è molto più profondo di qualche citazione». Ne è convinto padre Giacomo Costa, che del Sinodo sui giovani è stato segretario speciale.
Già nel suo primo abbraccio ai giovani, per la cerimonia ufficiale di apertura, e poi nella Messa finale il Papa si è soffermato sul legame tra il Sinodo e la Gmg. Qual è il “filo rosso” che lega i due eventi, e come continuare da qui a Lisbona, la prossima tappa nel 2022?
Il frutto del Sinodo non è un documento, ma una dinamica, e il Papa invitava i padri sinodali a ritradurla nei loro contesti. A Panama è stato lui il primo a farlo. Per esempio ha condiviso «la ricchezza dell’ascolto tra generazioni, la ricchezza dello scambio e il valore di riconoscere che abbiamo bisogno gli uni degli altri» vissuta al Sinodo. E poi ha cercato di promuovere questo dialogo: ha invitato gli adulti ad ascoltare il grido dei giovani, che non si sentono ascoltati, e a entrare in dialogo con loro; e ha incoraggiato i giovani a trovare negli adulti le loro radici. Il dialogo tra generazioni è una esigenza profonda per la Chiesa e Papa Francesco ci incoraggia ad andare avanti. Il legame tra il Sinodo e la Gmg è molto più profondo di qualche citazione o di qualche rimando esplicito. Ci sarebbero tantissimi esempi di come i due percorsi si sono intrecciati non a parole, ma nei fatti, e spero che questo dia frutti che raccoglieremo anche alla Gmg di Lisbona.
Ci può fare uno di questi esempi?
Una delle sorprese del Sinodo è stata la centralità accordata alla dimensione della missione come impegno corale di tutta la comunità, quella che con un termine un po’ tecnico il Documento finale chiama la sinodalità missionaria. A Panama il Papa ha invitato i giovani proprio a dire sì con la loro vita, a rendersi conto di “essere missione”, a innamorarsi della propria missione. Così facendo, ha mostrato che si può presentare con libertà e franchezza la dimensione vocazionale di ogni vita, cioè che vocazione non significa seguire un copione già scritto, ma neanche andare avanti a casaccio.
Celebrando la liturgia penitenziale con i giovani carcerati di Pacora, Francesco ha fatto presente che «ognuno di noi è molto più delle sue etichette». La Chiesa, e la società, devono imparare dalla “cattedra” dei giovani, per non escludere nessuno?
Tocchiamo un altro legame profondo con il Sinodo, che partiva dal desiderio della Chiesa di prendersi cura di «tutti i giovani, nessuno escluso», arrivando anche a chiedere aiuto ai giovani stessi per riuscirci. Lo stesso desiderio è risuonato alla Gmg, insieme alla consapevolezza che ciascun giovane ha un tesoro da condividere, un dono da offrire alla società e alla Chiesa. Ma “occuparsi di tutti i giovani” rischia di rimanere uno slogan, e al Sinodo abbiamo toccato con mano quanto la Chiesa fatichi a raggiungere e coinvolgere chi è al di fuori dei suoi circuiti. Ma non può rinunciare a farlo: anziché affermarlo a parole, il Papa lo ha detto con i gesti, andando in un luogo a incontrare giovani che rischiano di essere segnati per sempre da pregiudizi e stigma.
Maria influencer di Dio, il tema della Veglia al Metro Park, in cui il Papa ha messo in guardia dalle insidie del primato del digitale sulla concretezza della realtà. Si può, e come, non cadere in questa trappola, in un mondo sempre più interconnesso, dove domina l’enfasi su tutto ciò che è legato alla “rete”?
La consapevolezza dei rischi della rete non giustifica il fatto di averne paura. Il Papa ce l’ha molto chiaro, e per questo usa abbondantemente il linguaggio e le espressioni dei social, ricorrendo a immagini che i giovani capiscono subito. Ma sa anche che bisogna fare di più. Per esempio il messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni, pubblicato proprio durante la Gmg, sottolinea in maniera non ingenua le potenzialità dell’ambiente digitale ricordando la necessità di «affermare anche nella rete e attraverso la rete il carattere interpersonale della nostra umanità», l’importanza delle relazioni. Nel Sinodo i giovani hanno espresso il bisogno di essere accompagnati nella fruizione degli ambienti digitali, mentre ad adulti e anziani servono delle guide per mettere a fuoco le coordinate di questo nuovo ambiente. Anche qui serve un dialogo intergenerazionale. Ma soprattutto non possiamo sottovalutare il ruolo dei giovani credenti, nativi digitali come i loro coetanei: sono chiamati a essere influencer di uno stile relazionale, di una cultura dell’incontro nel nostro mondo che include il digitale. Al Sinodo ci siamo resi conto di come siano molti i giovani che sono pionieri nel portare avanti la missione della Chiesa.
Parlando alle autorità, il Papa ha pronunciato un forte “no” alla corruzione e ha chiesto ai politici austerità e trasparenza per «una politica autenticamente umana». Anche nel discorso ai vescovi e nella Via Crucis non sono mancati accenni politici e a questioni sociali…
Un uomo come papa Francesco, così attento ad ascoltare il grido dei poveri, degli esclusi, delle vittime delle violenze, non poteva non insistere su questi temi. Il volto di tanti giovani assomiglia a quello di Cristo che porta la croce. È il loro grido a chiedere trasparenza e giustizia sociale, a chiedere una vera cura della casa comune e la coerenza tra quello che si dice e quello che si fa. Non c’è speranza di un futuro diverso senza una politica onesta, che si preoccupi davvero del bene comune. Per questo, parlando a sacerdoti, religiosi e membri di movimenti laicali, il Papa ha invitato la Chiesa a fare attenzione a quella tentazione che ha chiamato «stanchezza della speranza».
«Molti dei migranti hanno un volto giovane», l’analisi di Francesco sul Centroamerica. «Accogliere, promuovere, proteggere e integrare», i quattro imperativi riproposti del Papa. Un ennesimo appello destinato a cadere nel vuoto?
I migranti sono al centro dell’attenzione di Francesco non per un eccesso di buone intenzioni, ma perché sono un paradigma del nostro mondo. Per questo le nostre società non possono “liberarsene” costruendo muri o blocchi di ogni genere. Il Sinodo ne ha preso coscienza a partire dall’ascolto delle storie dei giovani migranti, dell’ostilità e dello spaesamento che patiscono, così come del vuoto e delle fratture che lasciano nelle comunità di origine. Sono un appello alla creatività, che tante comunità concretamente raccolgono, anche nel nostro Paese, che non è solo preda di paure e chiusure. Non possiamo dimenticare l’impegno di tante realtà ecclesiali e dei frutti concreti che sta producendo nel tessuto della nostra società. Anzi, questo è uno stimolo a non smettere di cercare modalità originali e sostenibili di «accogliere, promuovere, proteggere e integrare».