Uomo di straordinaria umiltà, bontà, carità e nascondimento.
Potrebbe essere questa la cifra sintetica della figura e della tribolata esistenza di padre Arsenio da Trigolo, proclamato beato in Duomo davanti a tanta gente, tra cui la quasi totalità delle suore di Maria Santissima Consolatrice, la Congregazione da lui fondata, e moltissimi studenti ed ex alunni delle loro scuole, provenienti anche dall’estero. Il Rito è stato presieduto dal cardinale Angelo Amato, rappresentante di papa Francesco e prefetto della congregazione delle Cause dei Santi. A concelebrare, l’arcivescovo, monsignor Mario Delpini e altri 15 vescovi, tra cui gli ausiliari di Milano, il vescovo di Cremona – città nella cui provincia si trova Trigolo, paese natio del Beato – Antonio Napolioni e l’emerito, Dante Lafranconi. Non mancano alcuni vescovi Cappuccini, il nunzio in Niger e Burkina Faso, nazione dove è presente la Congregazione, Piergiorgio Bertoldi, il superiore generale dei Cappuccini, padre Mauro Jöhri e il provinciale italiano, padre Sergio Pesenti, il postulatore della Causa, don Carlo Calloni e decine di altri sacerdoti e frati. Nelle prime file ci sono la superiora generale della Congregazione, suor Silvianita Galimberti, alcune Provinciali (ad esempio del Brasile), accanto a diversi sindaci, tra cui il rappresentante per Milano, l’assessore Rabaiotti e il sindaco di Trigolo.
I fedeli, che già da ore prima della Celebrazione, affollano la Cattedrale si sono preparati con canti e preghiere. In apertura del Rito, il responsabile diocesano per le Cause dei Santi, monsignor Ennio Apeciti presenta i cenni biografici di padre Arsenio e si rivolge al cardinale Amato che, in latino, pronuncia la formula di Beatificazione. Mentre viene scoperto, tra gli applausi, lo stendardo, si esegue l’Inno del Beato e vengono portate all’altare maggiore le reliquie conservate in un artistico reliquiario a forma di stola che, realizzato da Mark Ivan Rupnik, evoca il prediletto Ministero di confessore del Cappuccino. Uomo e sacerdote dalla vita non semplice – il suo vero nome era Giuseppe Migliavacca, nato il 13 giugno 1849 e morto il 10 dicembre 1909 –, prete nel 1874, per 15 anni Gesuita, costretto nel 1892 a uscire dalla Compagnia per accuse false e infamanti, dal 1902 Cappuccino, fondatore di una Congregazione femminile, accolta, nel 1892, dal cardinal Ferrari a Milano. Per la precisione in via Melchiorre Gioia, dove ancora oggi si trova l’Istituto paritario delle Suore di Maria Consolatrice, allora luogo, alla periferia della città, segnato da estreme povertà e degrado. Da lì l’irradiazione della Congregazione in Italia, Cina, Libia, poi, in Costa d’Avorio, Burkina Faso, Brasile, Ecquador e, ultimamente, in Angola.
L’omelia del cardinale Amato
Tutti passi che il cardinale Amato richiama nella sua omelia, ricordando che già «Suor Maddalena Defendi, superiora della Congregazione alla morte del Padre, disse: “Egli era veramente un Santo, la perfezione in persona”».
«Padre Arsenio era un sacerdote fiero della sua vocazione e del suo apostolato di bene. Egli seppe mantenere sempre viva la tensione alla santificazione propria e altrui. Amava la preghiera, il sacrificio, il lavoro. Era un apprezzato maestro di vita spirituale e un esperto confessore, aveva una cultura non comune».
Colui che, già nel 1876, si riproponeva di «non tralasciare tutte le occasioni che Cristo mi dà per farmi santo», fu, insomma, un esempio seppure da molti, persino confratelli, non prediletto.
«Le virtù dell’umiltà e della carità sono le colonne portanti della sua spiritualità. Fu lui – sottolinea Amato – il primo a viverle. Diceva: “L’umiltà ci fa amare i rifiuti, i disprezzi, e tollerare pazientemente le contrarietà”. Ripeteva spesso: “Siate umili, non temete di abbassarvi”».
Poi, altre preziose virtù come l’obbedienza, la carità oblativa, sacrificata, misericordiosa, accogliente e cordiale che si presentava con amabilità, benignità e comprensione».
Se un testimone dell’epoca ebbe a scrivere che padre Arsenio era «affabilissimo nelle conversazioni e pareva la mansuetudine personificata», il suo comportamento «di fronte a sgarbi e scortesie, cui rispondeva sempre con un sorriso indulgente, fu notoriamente testimoniato anche dalle sue figlie spirituali per cui ebbe un atteggiamento di grande carità e benignità».
Da qui, la conclusione del rappresentante del Papa: «Il dossier della sua vita è pieno di episodi concreti di bontà e consolazione. La Grazia di Dio trasformò il nostro Beato fino a renderlo eroico discepolo di Gesù. Oggi egli chiama tutti noi all’imitazione del suo esempio. Invita soprattutto le sue figlie spirituali alla fedeltà alla loro vocazione e apostolato tra i bisognosi. La Beatificazione del fondatore è un’ulteriore conferma della validità del loro carisma che vede nella carità operativa, la più alta manifestazione della carità apostolica».
Le parole dell’Arcivescovo
Al termine della Celebrazione a prendere brevemente la parola è monsignor Delpini che racconta di aver conosciuto la figura di padre Arsenio, molti anni fa, a un Corso di Esercizi Spirituali a Leggiuno. «Voglio ringraziare tutti a nome del Beato e penso che ciascuno di noi abbia bisogno di un momento di raccoglimento e di meditazione per rendersi conto di quale Grazia abbiamo ricevuto in questa giornata. Egli fece sempre il bene nel nascondimento e ritengo che oggi stia facendo qualche Grazia nascosta. Impariamo a essergli grati e a configurare la nostra vita alle sue virtù, facendo in modo di avene frutto».