Ottantatré consacrate dell’Ordo Virginum (con l’aggiunta di 9 giovani, che al termine del cammino di preparazione riceveranno la consacrazione in Duomo il prossimo 8 settembre) si sono riunite a Seveso sabato 29 giugno nella festa dei Santi Pietro e Paolo, per l’incontro di verifica annuale con l’Arcivescovo. Donne di diverse età, giovani e meno giovani, con esperienze di servizio differenti: il lavoro in parrocchia, in municipio, a scuola, in centri d’accoglienza o semplicemente donne di preghiera che testimoniano nella verginità consacrata la presenza del Regno di Dio qui e ora.
Il dono: le domande
Nella serenità di un clima fraterno è stato accolto l’Arcivescovo, che, da subito, ha condotto al cuore della vocazione verginale. «Quando la paura prende possesso della persona, questa si isola, vede negli altri un pericolo, nasce la casa della paura», con queste parole ha iniziato la sua omelia monsignor Delpini a partire dal brano evangelico di Giovanni 21, 15-19. Ha poi continuato sottolineandone i rischi: «Chi la vive si sente minacciato poiché pensa che gli altri abbiano poca valutazione nei suoi confronti, si sente umiliato. Quindi nella casa della paura o meglio nella fortezza della paura, si ergono muri invalicabili anche verso se stessi, si cerca il rumore della distrazione perché ci si vergogna anche di sé». Finché, proseguendo nella narrazione, ha aggiunto: «Un giorno, tuttavia, con insistenza, in questo castello bussa un Viandante. C’è troppo rumore per sentire il suo invito e nessuno nel castello della paura viene ad aprire. Il Viandante insiste, non demorde, al punto che un servo annoiato e di malumore finalmente arriva ad aprire la porta del castello. Il servo vorrebbe cacciare l’insistente Viandante che promette un dono per il padrone della casa. Non necessita di doni chi ha voluto le mura dell’isolamento, replica il servo. Offro un dono di Dio risponde lo Sconosciuto. Ma quale dono! si arrabbia il servo. In questa casa della paura si è devoti, si fa elemosina e altro. Ma io ho un dono – insiste lo strano Viandante – finché il principe di casa chiede di quale dono si tratti! Il Viandante presenta quindi la sua offerta: domande, solo domande!».
L’immagine – ha ripreso fuor di metafora – è il Signore Gesù che si rende presente ponendo domande, come Gesù a Pietro: «Tu mi vuoi bene?». Forse pensiamo di credere in Dio perché partecipiamo a infinite attività e celebrazioni come fosse importante fare qualcosa per Dio. Con la tentazione di sentirci a posto quando abbiamo fatto tutto, magari senza guardarci dentro. Il rapporto con Dio rimane esteriore, cristallizzato in fantasie più o meno “pseudo mistiche”. Dio è vivo, e la prova è che ci pone continuamente domande che ci turbano come accadde a Pietro. L’apostolo è a disagio, ripensando alla sua storia, ma si riprende in quel «tu sai tutto, tu sai che ti amo». Vi è una dinamica nella vita spirituale per cui noi non sappiamo già tutto, ma Dio sa tutto. La vita consacrata non è dunque un volontarismo che non ci fa accorgere che Gesù è alla porta. Gesù è vivo perché ci inquieta.
Seguire l’anno liturgico
Così nel pomeriggio, in una sala attenta, l’Arcivescovo ha ribadito come la proposta per il nuovo anno pastorale sia quella di seguire l’anno liturgico, il mistero di Cristo che celebriamo nell’Eucarestia. È vivere per Gesù che genera un umanesimo cristiano che diviene proposta di vita ricevuta.
Da qui la ripresa della nuova Lettera pastorale Basta (leggi qui). Risorse che potrebbero dare vita vengono destinate per distruggere. «Basta, la misura è colma!», ha ribadito monsignor Delpini, avvertendo che non basta gridare contro eventi planetari, è piuttosto necessario convertirci per essere determinanti. La riconciliazione parte dalla conversione personale e dalle nostre comunità.
L’Arcivescovo ha quindi invitato a riscoprire il sacramento della riconciliazione, giudicato talvolta insignificante e individualistico, quasi più uno sfogo che una confessione dei peccati, dove in realtà è l’umano che viene abbracciato da Dio, riconciliato con la comunità. Un sacramento di cui dobbiamo riscoprire la rilevanza ecclesiale.
Il riposo sabbatico
In un anno giubilare come il 2025 dobbiamo riscoprirci pellegrini che vivono il riposo sabbatico secondo l’antica tradizione giudaica. L’auspicio dell’Arcivescovo è stato quello di «essere una comunità che vive della gratitudine della grazia». Invitando in modo forte e determinato «a stare fermi, a riposare in Dio», cancellando molti programmi e affanni dalle agende parrocchiali o personali, non per ozio, quanto per “assimilare”, evitando di congestionare il calendario con le cose da fare, ma piuttosto scoprendo l’arte del riposo. Scoprire l’Amore che salva, che ci vuole solo capaci di accoglierlo come Santa Teresa d’Avila o Sant’Ignazio di Loyola.
«Ti basta la mia grazia» viene detto a Paolo che vive la debolezza e l’apparente sconfitta della missione. Si tratta di abbandonare i protagonismi per affidarci all’amore salvifico di Dio, di fermarci per permettere alla grazia di raggiungerci.
L’Arcivescovo ha concluso con il desiderio di poter proclamare un editto per «evitare più di una riunione alla settimana», accolto da un caloroso applauso. Perché c’è il desiderio di riscoprire l’essenzialità della vocazione che non è nel fare ma nel’essere con Lui. Per annunciare anche nel silenzio che solo Dio basta.
I lavori sono proseguiti nella giornata di domenica, dedicata alla programmazione cercando di seguire uno stile sinodale di ascolto e non di affanno. A conclusione sono stati festeggiati gli anniversari di consacrazione di venti sorelle: 5, 10, 15, 20 fino a 35 anni di vita consacrata.
A conclusione delle giornate, don Dario Balocco, delegato per l’Ordo Virginum, ha lasciato un pensiero che è un augurio e un dovere: «Dopo cinquecento anni, dove la Chiesa si è impegnata a dare risposte viviamo un momento nevralgico di trasformazione in cui la Chiesa pone domande, stando in ascolto, sempre con la certezza di quanto Dio stesso consegna all’umiltà di Mose’: “Io sono con te!”».