«Oratorio e fede. Più si allontanano l’uno dall’altra, più il primo perde la sua identità. Siamo qui per ristabilire un rapporto che si fonda sulla nostra fede personale e la fede di una comunità che educa. La passione educativa ci spinge ad accogliere i più giovani al punto in cui si trovano, sapendo che in loro la fede è ancora come un seme che germoglia».
È questo il messaggio che ha aperto l’assemblea annuale della Fondazione Oratori Milanesi (FOM) presso il Cinema delle Arti a Gallarate, incentrata quest’anno sul tema “Oratori e Fede” e con la partecipazione dei rappresentanti di quasi 100 oratori.
In dialogo con mons. Pace
Il primo momento è stato una conversazione tra il Segretario del Dicastero Vaticano per l’unità dei cristiani, monsignor Flavio Pace e il direttore della FOM, don Stefano Guidi.
«L’oratorio sicuramente ha segnato il mio percorso e la dimensione del mettersi in gioco con gli altri era imprescindibile» ha esordito monsignor Pace ricordando il suo vissuto sia come frequentatore della parrocchia sia come prete. Per lui sono state esperienze che gli hanno permesso di avvicinarsi alla fede e porsi domande soprattutto nei momenti difficili per la sua comunità.
In una società sempre più povera di punti di riferimento, l’oratorio può diventare un luogo dove aiutare giovani e adulti a comprendere e in certi casi a riscoprire l’inestimabile valore delle relazioni umane.
«L’oratorio deve essere qualcosa da vivere pienamente, ma non può essere un’isola felice che non ha contatto con quello che accade fuori – ha sottolineato monsignor Pace – La bontà d’animo e il voler fare per gli altri devono sempre avere una loro sorgente, altrimenti rischiano di diventare una cisterna screpolata».
Monsignor Pace si è poi soffermato sull’incontro dentro gli oratori con persone di culture e fedi diverse, un’occasione per andare oltre i pregiudizi e comprendere il percorso spirituale degli altri in pieno rispetto reciproco. «L’oratorio ha la potenzialità di essere una comunità di persone dove poter vivere un’esperienza umana autentica con al centro la dignità della persona», ha affermato.
Alla domanda di don Guidi su quali consigli dare agli oratori, monsignor Pace ha invitato a «non perdere la riconoscenza e la gratitudine per quello che dà perché sarebbe una follia. La riconoscenza non deve però trasformarsi in nostalgia o ripetitività: noi siamo figli di un tempo che va avanti con l’aiuto della Grazia di Dio e dobbiamo continuare a camminare nel presente e costruire il futuro, come faceva Gesù nel Vangelo».
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«Sono stata accolta con gioia e amore»
Il grande contributo che può venire da un oratorio è quanto l’assemblea ha potuto sentire dalla testimonianza di Camilla, 19enne originaria di Pero e battezzata nella Pasqua del 2024.
«Ho iniziato a frequentare l’oratorio per i crediti scolastici. Mi stavo già interrogando sul senso del credere, ma l’oratorio è l’unica realtà che offre ai giovani supporto scolastico e occasione di incontro – ha raccontato -. Mai mi sarei aspettata di conoscere una realtà così bella: sono stata accolta con un amore e una gioia straordinari, soprattutto nell’assistere alle funzioni religiose».
A metà della mattinata si sono poi tenuti quattro laboratori di confronto e ascolto sulla fede nell’iniziazione cristiana, nei preadolescenti, negli adolescenti e negli educatori. Questi momenti di gruppo sono stati l’occasione per riflettere su cosa significhi vivere la fede in diversi momenti della giovinezza ascoltando i dubbi e le speranze.
Attraverso esperienze o soltanto una parola chiave, i partecipanti hanno potuto comprendere le emozioni che i giovani vivono in relazione alla fede. Come ricordato dagli organizzatori della FOM, in nessuno di questi momenti di condivisione si vuole indicare ai giovani quale strada seguire, ma semplicemente accompagnarli nel percorso che essi intraprendono.
La testimonianza dei genitori di Sammy Basso
Il momento più toccante della mattinata è stata la testimonianza di Amerigo Basso e Laura Lucchin, i genitori di Sammy Basso scomparso lo scorso ottobre.
«Sammy portava sempre la sua esperienza di fede ovunque andasse, anche quando parlava con persone non credenti o di altre religioni. Diceva sempre: “se non parlassi della mia fede, non direi niente”. Per lui la partenza era sempre quella».
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Sammy era affetto da progeria, una rara malattia genetica che causa un invecchiamento precoce. Eppure «non la riteneva affatto un castigo divino, anzi diceva che faceva parte di un progetto che Dio aveva per lui. Fin dall’inizio era consapevole della sua malattia e la considerava solo come una piccola parte di lui che nulla aveva a che fare sulla persona che era e su cosa faceva. Non ricordiamo di averlo mai visto arrabbiato per questo».
L’esempio di Sammy è quello di una persona che ha vissuto la sua vita sempre con il sorriso, prodigandosi per gli altri senza lasciare che la malattia lo scoraggiasse. Un entusiasmo che lo ha sempre accompagnato negli studi universitari e nel lavoro di ricercatore sulla progeria.
«Ha sempre voluto spingere sulla ricerca per trovare una cura nonostante fosse consapevole che non gli sarebbe potuta servire visto lo stadio avanzato della sua malattia. Faceva tutto questo per aiutare gli altri. Nel 2019 quando si sottopose ad un intervento al cuore, primo caso al mondo su una persona affetta da progeria, era consapevole dei rischi ma ripeteva sempre “lo faccio per gli altri”».
L’impegno di Sammy sta cominciando a dare i suoi frutti: i suoi genitori hanno infatti affermato che la ricerca ha fatto enormi progressi e potrebbe essere solo questione di pochi anni per arrivare ad una possibile cura tramite un intervento di ingegneria genetica per cambiare l’errore nel DNA.
Dal testamento spirituale di Sammy, c’è un passaggio che Amerigo Basso e Laura Lucchin hanno ricordato in modo particolare: «Se c’è una cosa di cui non mi sono mai pentito, è quello di aver amato tante persone nella mia vita, e tanto. Eppur troppo poco».
Per i genitori di Sammy, questa frase racchiude il senso profondo di come il loro figlio ha vissuto: «lui ha sempre amato tantissimo le persone, indipendentemente da chi fossero. In questa frase, riconosce che poteva amare di più. Ha sempre donato un’infinità di amore e cercato di dare il massimo perché pensava che ci fosse sempre la possibilità di fare di più».