«Siamo tubati, riceviamo notizie che ci inducono a sentire una specie di disperazione. Vediamo il disastro che può causare una bomba. La guerra, come tutte le altre forme di assurdità che l’uomo può commettere, ci lasciano sconcertati, ma il Signore ci dice: “Non sia turbato il vostro cuore”. Non siamo là dove si prendono le decisioni che possono portare alla speranza o alla disperazione del mondo, noi siamo qui, in questo pezzetto di terra in cui seminiamo futuro».
Sono parole di speranza quelle che l’Arcivescovo rivolge agli ospiti, ai volontari, ai responsabili, ai tanti amici del Centro Nocetum, nel Decanato “Vigentino”, incontrati nel contesto della sua Visita pastorale alla Città di Milano. “Una casa dalle molte dimore”, come ricorda la responsabile, Gloria Mari – anima insieme a suor Ancilla Beretta del Centro fondato 34 anni fa -, accogliendo, insieme a don Andrea Bellò, parroco della vicina “San Michele e Santa Rita” e di Chiaravalle, il vescovo Mario.
Una “casa” che, oggi è luogo di accoglienza per mamme in difficoltà e i loro bimbi, di agricoltura, allevamento e produzione sostenibili, di dialogo tra le fedi, di istruzione con il doposcuola e tante attività correlate.
«In questo tempo di guerre vediamo la sua presenza come un segno di pace», aggiunge Mari, sottolineando la «motivazione spirituale, ambientale e sociale vissute in una dimensione olistica» che anima “Nocetum”, «dove si sono intrecciate la storia con la S maiuscola di arcivescovi e imperatori del passato e quella, con la s minuscola, dei contadini, dei poveri e, ora, degli immigrati». Così come si rende evidente nel bel video proiettato per l’occasione.
Dal gesto della messa a dimora di alcune piantine di cavolo cappuccio nel campo della city farm del Centro insieme ai bambini e ai volontari – poste nel terreno con tanto di grembiule con la scritta “Don Mario” e guanti da lavoro – trae spunto il vescovo nella sua breve riflessione ispirata dal capitolo 14 del Vangelo di Giovanni.
Piccoli segni di pace
«Abbiamo piantato una fragile piantina e anche noi siamo una piantina fragile: desidero che questo sia un momento che semina quella speranza a cui possiamo dare dei nomi: anzitutto, la gratitudine per ciò che i cristiani hanno fatto qui nei secoli, di cui è segno la chiesetta dei Santi Giacomo e Filippo e il Centro stesso: gratitudine per tutti coloro che non si lasciano scoraggiare dalla guerra».
Poi, una seconda parola: «riabilitazione, che significa tenacia, competenza ed esperienza che permettono a chi ha subìto un trauma di recuperare la propria funzionalità. Dobbiamo dedicarci alla riabilitazione della nostra società, dopo questi anni in cui il Covid ha sospeso tante iniziative. Dobbiamo riabilitare la terra, ferita dall’inquinamento, dall’accumulo di rifiuti, perché torni a essere un giardino dove le nostre piantine possano portare frutto. Dobbiamo riabilitare le persone ai rapporti umani, riabilitare i poveri e i fragili che hanno bisogno di una mano amica per tornare a camminare nella vita. Siamo malati di egoismo, di sospetto, ma il Signore ci indica il principio di questa riabilitazione: Lui che è la via, la verità, la vita».
E, infine, la profezia «perché abbiamo qualcosa da dire in nome di Dio, una possibilità nuova di abitare la città, pur avendo tradizioni e religioni diverse: possiamo dire che la vita in comune è possibile».
La visita alle Rsa
Accolto dalla direttrice, Claudia Zerletti, e dal cappellano, don Pinuccio Mazzucchelli, l’Arcivescovo entra, poi, nelle due Rsa “Virgilio Ferrari” e “Casa per Coniugi”. Una visita che segna «un nuovo inizio», come dice il cappellano, anche perché nella chiesa interna alla struttura, per la prima volta trovano posto parecchi ospiti, dopo i tempi durissimi dei due lockdown.
«I discepoli sono turbati, perché intuiscono che quella sera è una vigilia di tragedia. Ma il Signore dice loro che possono avere speranza», osserva il vescovo Mario, sempre riferendosi al Vangelo di Giovanni 14. «Anche se siete anziani, malati, se si fa fatica ad andare avanti, voi, i familiari, gli operatori, non siate turbati La meta da raggiungere, la risposta alle nostre domande è il Signore. Vi consegno queste tre parole: essere amati, sapendo quanto Gesù ci ha amato, essere amabili e avere una parola buona e rapporti sereni tra voi. Essere capaci di amare, vuol dire prendersi cura di chi incontriamo».