Al termine della preghiera per il Papa, il cardinale Dionigi Tettamanzi lascia verso mezzanotte la Cattedrale. Si dice «stupito» e «ammirato» nel «vedere che spontaneamente e in maniera improvvisa il Duomo di Milano si è riempito di tante persone, anche giovani». E commenta: «Hanno sentito che non c’è modo migliore di affrontare questo momento della vita della Chiesa, della perdita di un Padre universale, che rivolgersi al Signore».
«Papa Wojtyla», dice ancora l’Arcivescovo, «è un uomo innamorato di Cristo, per questo della sua Chiesa e quindi di ogni uomo».
Queste manifestazioni di religiosità profonda e di fede autentica sono la dimostrazione che «il Santo Padre riceve dal Signore non soltanto la ricompensa delle sue fatiche», ma anche «la gioia che tutto quello che ha seminato, soprattutto in certi momenti, anche andando controcorrente, è già germogliato e continua a fruttificare». Ma se il Papa andava controcorrente era sempre «per essere fedele al Vangelo e per essere capace di rispondere alle attese più profonde del cuore umano».
Il Duomo di Milano gremito di fedeli «mi pare sia una testimonianza concreta dei tanti doni che la Chiesa e l’umanità hanno ricevuto dal ministero, dalla vita, dalla passione apostolica e dalla sofferenza di questo grande Papa», ha detto Tettamanzi. È convinto l’Arcivescovo che la Chiesa ambrosiana sia stata seguita con «grande attenzione e amore» da parte del Papa. «Innanzitutto», ha spiegato, «con l’invio tra noi del cardinale Carlo Maria Martini e, in quest’ultimo periodo breve, breve, ma rivoluzionario, nei miei confronti».
Tra i tanti ricordi che affollano il cuore dell’Arcivescovo ce n’è uno in particolare. Lo racconterà durante la messa per il Papa che celebrerà in Duomo domenica 3 aprile. In realtà ha già avuto occasione di parlarne, «ma sento il bisogno di ripeterlo». «Èstato lui», dice riferendosi a Giovanni Paolo II, «a incoraggiarmi con grande forza a ritornare nella mia diocesi d’origine per essere Pastore. L’ha fatto con un gesto, non con parole, con il gesto di una carezza. E sono convinto che questa carezza non era per me, ma per tutta la Chiesa ambrosiana».
Èmezzanotte passata e il Duomo è ancora aperto, c’è chi prega, chi accende una candela, chi si allontana lentamente e chi ancora cerca di entrare. Sul sagrato molti si attardano, ricordano, commentano. Shadi, che abita in zona San Siro dice: «Sono venuto apposta ad accendere una candela. Speravo che il Duomo fosse aperto. Il Papa è un simbolo, per cristiani e non, èun simbolo di pace. Anche le persone che sono venute qui questa sera lo testimoniano, come pure quelle che adesso sono in piazza San Pietro».
E Francesca, che quando era più piccola ha partecipato alle Giornate mondiali della gioventù, commenta: «Giovanni Paolo II ha toccato i cuori di tutti. Èun Papa importante perché ha saputo unire là dove nessuno era riuscito, dal punto di vista umano e religioso. Oltre al fatto che era un Papa straniero, è stato importante per la storia, perché ha saputo unificare».
Per Enzo questa è una serata «irripetibile». Ha lasciato a casa la moglie con il figlio di 4 anni per venire a pregare. «Mi ricordo il giorno in cui è stato eletto Papa», dice. «Èandato incontro alle persone girando il mondo, ora noi siamo attratti da lui. Pensando a Giovanni Paolo II mi viene in mente Madre Teresa di Calcutta. Gli occhi del Santo Padre si sono oggi chiusi per aprirsi alla verità che in questo istante conosce, a noi chiede di tenerli aperti come ha fatto Madre Teresa, amando il prossimo come noi stessi. Amare il prossimo abbandonando ogni tipo di guerra e di ostilità, trasformando ogni gesto in carità, aiutati dal Vangelo che questo Papa ha sempre predicato».