Monsignor Paolo Bizzeti è vicario apostolico d’Anatolia dal novembre 2015.
Cosa significa oggi essere vescovo in Turchia e in particolare nel Vicariato dell’Anatolia?
Fare il vescovo di questa terra significa dare continuità alla corsa del Vangelo, come sempre è stato nella storia. Nel territorio dell’Anatolia hanno vissuto i primi Apostoli e anche grandi Padri della Chiesa. Qui c’è una delle culle del monachesimo dei primi secoli e io desidero che si possano ricreare le condizioni perché possa esserci una presenza di tipo monastico: per questo sto cercando uomini e donne che vogliano riprendere questa bellissima modalità di essere discepoli di Gesù attraverso una vita che coniuga lavoro, preghiera, testimonianza e buon vicinato. Inoltre come vescovo della Chiesa latina sono a stretto contatto con i vescovi delle Chiese bizantine e siriaca: gli altri due polmoni della Chiesa universale. Anche con loro c’è tutto un lavoro fatto di buone relazioni e di ecumenismo, con la necessità di promuovere una conoscenza reciproca. Infine oggi ci troviamo di fronte a decine di migliaia di cristiani che sono fuggiti dalla guerra in Iraq e in Siria e che vengono da nazioni come l’Iran e l’Afghanistan dove la persecuzione dei cristiani è spaventosa. Vanno sostenuti nella fede, nell’inserimento, nei loro enormi problemi economici perché sono persone che hanno perso tutto a causa della loro fedeltà a Gesù. Per questo, da presidente di Caritas Turchia e Caritas Anatolia sto cercando aiuti.
E quali sono le sfide che attualmente è chiamato a vivere?
Come ovunque la prima sfida è sostenere coloro che già sono discepoli di Gesù. Poi anche qui c’è la necessità di trovare nuove modalità e linguaggi per le nuove generazioni, impregnate di una cultura mediatica, consumistica e individualista. Ma aggiungo che ci sono tante belle sorprese perché oggi abbiamo persone che provengono da altre religioni e che chiedono informazioni sul cristianesimo e alcuni di loro iniziano un cammino di catecumenato per arrivare al Battesimo: è Gesù che continua ad attirare persone! Infine da anni cerco di costruire ponti per un reciproco arricchimento tra Chiese dell’Occidente e del Medio Oriente.
Cosa si sente di dire alla Chiesa italiana?
Le nostre Chiese italiane hanno tante relazioni con Chiese dell’America Latina o dell’Africa ma pochissimo con quelle della Turchia: è un impoverimento che contrasta con quanto avvenuto per secoli quando c’era una viva osmosi culturale, spirituale, fraterna. Il mio invito è «venire e vedere»: non limitandosi a visitare le pietre morte del passato, bensì con pellegrinaggi mirati a conoscere da vicino geografia, storia e soprattutto la realtà delle «pietre vive».