Una beatificazione che parla della santità sempre possibile, di una gioventù bella che continua a sorridere dal cielo, anche se la vita è stata troppo breve, di una strada percorribile con semplicità e gioia nella normalità di ogni giorno. Sono queste le parole con cui monsignor Ennio Apeciti, responsabile del Servizio diocesano per le Cause dei santi e rettore del Pontificio Seminario lombardo, delinea la figura di Carlo Acutis, morto a soli 15 anni, nel 2006, per una leucemia fulminante, e che verrà proclamato beato il prossimo 10 ottobre, ad Assisi. Alla cerimonia parteciperà anche una delegazione ambrosiana guidata dal vescovo ausiliare monsignor Paolo Martinelli, dal direttore della Fom don Stefano Guidi, dal presidente e dall’assistente unitario dell’Azione cattolica ambrosiana, Gianni Borsa e don Cristiano Passoni.
«Come dice papa Francesco nella Christus Vivit, la santità non è un’esclusiva di preti, di suore, di monaci o di uomini adulti: è un dono che Dio fa a tutti. In questo senso, credo che il Signore abbia voluto scegliere proprio Carlo», spiega monsignor Apeciti, che è stato delegato per l’inchiesta della causa di beatificazione.
Lei ha curato la fase diocesana della Causa. Quali sono le caratteristiche principali di questa santità, peraltro riconosciuta in tempi molto rapidi?
All’inizio, quando mi fu presentata questa causa, ero un poco stupito e incerto: si trattava di un adolescente e, quindi, ero molto prudente. Ma in breve mi sono pienamente convinto che Carlo abbia avuto, in sé, tre caratteristiche tipiche di santità. In primis – anche se può sembrare strano – la sua normalità, come se il Signore volesse indicarci che la santità è vivere bene e con entusiasmo la propria vita normale. Mi torna sempre alla mente che, allorché interrogai una delle suore Marcelline dell’Istituto presso cui aveva studiato, la preside disse: «Lui, santo? Ma con le note che prendeva…». Ho visto queste note e sono semplicemente la prova di un ragazzo vivace e normalissimo. Poi, l’entusiasmo: al Leone XIII – che frequentò successivamente – chiesero agli alunni chi volesse impegnarsi in un cammino speciale nella Comunità di Vita Cristiana. Tutti abbassarono gli occhi, in silenzio. Lui solo si alzò, senza paura, per dire il suo “sì”. Il terzo punto è la testimonianza per gli altri. Quando ho interrogato i suoi genitori, pensavo che fossero credenti e molto praticanti, considerato come era cresciuto Carlo. Invece ammisero con serenità che andavano di rado in chiesa. «È stato nostro figlio – mi dissero – che ci ha condotti a scoprire la fede». Mi piace ricordare, però, che il futuro beato aveva avuto, come tata, una donna polacca che, come tante nonne, lo portava in chiesa per una visita, una preghiera, per accendere una candela e lui rimase affascinato da questo ambiente. Quando il suo parroco, monsignor Gianfranco Poma, iniziò a parlargli, ne nacque un dialogo profondo e una bella amicizia.
Per la causa avete interrogato anche i coetanei di Carlo?
Certamente. Tra i primi testi che volli interrogare, ci sono i suoi compagni di studi, soprattutto quelli delle scuole medie, e poi gli amici. Mi ha colpito il fatto che, anche dopo anni, il ricordo era ancora vivissimo. Tutti hanno testimoniato che quel loro compagno aveva qualcosa di speciale che rendeva bello e affascinante stare con lui: un misto, direi, di schiettezza e fortezza. Con Carlo scherzavano, ma mai in modo sguaiato o becero. Era simpatico, aperto, accogliente, ma mostrava un comportamento con precisi punti fermi che ha fatto maturare anche molti di questi amici.
Qual è stato il miracolo riconosciuto per Acutis?
Il miracolo è avvenuto in Brasile e riguarda un bimbo affetto da una grave malattia al pancreas, destinato a una morte inevitabile secondo i clinici. Pregando Carlo, un ragazzo come lui, questa grave forma degenerativa è scomparsa e il bambino – oggi adolescente – sta bene.
Ma come faceva un ragazzino brasiliano a conoscere Carlo?
Questo è un aspetto interessante. Direi, infatti, che esiste un ulteriore miracolo nella vicenda di Carlo: il miracolo della sua fama che si è diffusa, fin da subito, in tutto il mondo. È uno degli elementi che più mi ha colpito e mi ha convinto, come dicevo, riguardo alla santità del giovane Acutis. In Brasile in particolare, già dopo soli tre anni dalla sua morte, lo era si presentava come figura esemplare come «il ragazzo dell’Eucaristia». Si dice che potrebbe diventare il protettore di Internet e sarebbe giusto, perché la sua fama si è diffusa rapidissimamente con gli stessi mezzi che lui amava, crescendo in modo esponenziale e quasi stupefacente.
Non a caso lo chiamano «il Santo 2.0» proprio per questa capacità di veicolare la fede tramite i nuovi media…
Sì. Penso alla sua ricerca di siti religiosi, ai siti realizzati da lui personalmente, come quello per il Rosario e per l’Eucaristia. Questa fu la genialità, potremmo dire, ma anche qui torna l’esemplarità. Ho raccolto la testimonianza del domestico della famiglia Acutis. Carlo giocava spesso con il figlio di questo collaboratore e intanto mostrava la fede attraverso la rete. Leggeva il Vangelo, illustrava figure di santi, di miracoli, fino a che lo stesso domestico srilankese si è fatto battezzare.