Quando, nel luglio del 2002, si seppe che Papa Giovanni Paolo II aveva scelto come Arcivescovo di Milano il cardinale Dionigi Tettamanzi, anch’io, come molti, mi ero domandato come si sarebbe comportato per raccogliere l’impegnativa eredità del cardinale Carlo Maria Martini, guidando la Chiesa ambrosiana nei primi anni del nuovo millennio.
Conoscevo “don Dionigi” – come fino ad allora mi permettevo di chiamarlo, essendo stato mio professore in Seminario – come una persona buona, saggia, intelligente, di grande equilibrio. Ricordo che in Seminario ci veniva spontaneo sorridere quando, presentandoci delicate questioni di carattere morale, ci illustrava le diverse posizioni dei moralisti, spesso contrastanti tra loro, e alla fine ci proponeva quella del Magistero come la più saggia ed equilibrata. Il sorriso era dovuto al fatto di sapere che spesso quel “magistero” aveva come autore segreto proprio il nostro caro professore…
Immaginavo, quindi, che il nuovo Arcivescovo avrebbe condotto la nostra Diocesi, con il suo stile, in saggia continuità con il passato e con un percorso non particolarmente innovativo.
Già l’omelia dell’ingresso, tutta centrata sul tema della missione con uno sguardo a trecentosessanta gradi sulla realtà ecclesiale, fece intuire qualcosa di diverso. L’impressione venne confermata con il primo percorso pastorale triennale, Mi sarete testimoni. Una frase mi colpì particolarmente: «Non possiamo accontentarci di continuare a fare come abbiamo sempre fatto, senza domandarci se lo Spirito di Dio – attraverso le vicende della storia e la concretezza delle situazioni in cui viviamo – non ci indichi di intraprendere strade nuove, nel segno della vera prudenza e del coraggio. In questo senso, una “semplice pastorale di conservazione”, oltre a essere sterile, si dimostra irresponsabile e oggettivamente “peccaminosa”, perché sorda, se non addirittura ostile, alla voce di Dio e alla sua chiamata» (Mi sarete testimoni, n. 7).
Erano parole forti… Avrebbero avuto un’attuazione? Di fatto quel percorso pastorale spingeva le comunità a un impegnativo sforzo di discernimento partendo da dati reali (risale ad allora l’indagine sulla frequenza alla Messa domenicale); a vivere una fede effettivamente professata, celebrata e vissuta; a sperimentare nuove modalità di iniziazione cristiana; ad attuare un’alta qualità della celebrazione liturgica; a ridare senso alla domenica come giorno del Signore e della comunità…
Altre parole del cardinale Tettamanzi che mi impressionarono furono quelle contenute nell’omelia del Giovedì santo del 2006. Riguardavano la prudenza, che «è una “virtù” e, dunque, una forza spirituale, un’attitudine interiore segnata dal coraggio. […] La prudenza, allora, non può essere confusa con l’inerzia, la pigrizia, la nostalgia, l’arroccamento nei “privilegi”. La prudenza evangelica autentica è quella che consente allo Spirito di animarci con il suo fuoco ardente e con il suo inarrestabile dinamismo missionario».
È significativo che con quell’omelia il Cardinale apriva il “cantiere” delle “Comunità pastorali”, diventato da subito così rilevante per la nostra diocesi. L’espressione “cantieri aperti” si sarebbe imposta alcuni anni dopo, utilizzata più volte dallo stesso Arcivescovo. Essa voleva significare un intervento innovativo e non un semplice ritocco delle scelte pastorali (altrimenti non sarebbe stato necessario impiantare un “cantiere”…); un intervento non concluso in sé, ma in progressiva delineazione, sia che si fosse nella fase progettuale (si pensi alle molte bozze che hanno preparato il nuovo progetto di Pastorale giovanile, con l’ampio coinvolgimento della “base”), sia che ci si trovasse ormai nella fase di prima sperimentale attuazione; un intervento in cui tutti, e non solo il Vescovo e i suoi collaboratori o anche una ristretta schiera di addetti ai lavori, fossero chiamati a “sporcarsi le mani” e a “infangarsi le scarpe”, mettendosi realmente in gioco.
Le Comunità pastorali e le altre forme di Pastorale di insieme; il rilancio del Decanato (e la responsabilizzazione del Decano) con la visita pastorale e la “Carta di comunione per la missione”; l’iniziazione cristiana con una caratterizzazione catecumenale; il progetto di Pastorale giovanile; il completamento della riforma del rito ambrosiano con il nuovo Lezionario; la nuova modalità di ingresso nel ministero per i diaconi e i preti novelli. Accanto a essi, ma sulla stessa linea, altri interventi quali l’impegno per la Pastorale familiare (che ha caratterizzato il secondo percorso pastorale triennale), il deciso potenziamento dell’esperienza dei preti e dei laici in missione come fidei donum; il rilancio dell’insegnamento della religione cattolica; le iniziative di formazione di base dei laici.
Davvero anni non di tranquilla transizione, quelli dell’episcopato milanese del cardinale Dionigi Tettamanzi, ma di un impegnativo rinnovamento. A un solo scopo: essere fedeli a quanto lo Spirito chiede alla Chiesa ambrosiana per essere “missionaria” verso il mondo di oggi e di domani.