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Sirio 01 - 10 novembre 2024
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Milano

«Non cerchiamo eroi, ma persone capaci del gesto minimo che dà sollievo»

In Duomo, l’Arcivescovo ha ordinato due nuovi Diaconi permanenti. «Camminiamo verso la comunione con percorsi di comunità che convergono, non per interesse, non per costrizione, ma per attrazione»

di Annamaria Braccini

12 Novembre 2019

«Il gesto minimo, quello che tutti possono compiere, può dare il suo contributo per edificare la comunione e per vivere una carità che non sia solo beneficenza. Questi uomini si fanno avanti a dichiarare la loro disponibilità al Vescovo per l’annuncio del Vangelo, dicono il loro “eccomi”. E, io, a nome della Chiesa dico grazie: venite benedetti da Dio».
Ringrazia così l’Arcivescovo, i 2 Diaconi permanenti che ordina in Duomo, Francesco Prelz, fisico collaboratore del Cern di Ginevra, sposato padre di due bimbi (in prima fila in Duomo, emozionatissimi) e Fabrizio Santantonio, celibe classe 1974, maresciallo della Guardia di Finanza.
Concelebrano molti sacerdoti, tra cui i due vescovi ausiliari, monsignor Luigi Stucchi e monsignor Paolo Martinelli, vicari episcopali per la Vita Consacrata, il responsabile della Equipe per il Diaconato permanente, i parroci. Molti i Diaconi in Cattedrale.
È la festa di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo, che conclude l’anno liturgico, e proprio dal momento celebrativo che si sta vivendo e dalle letture, appena proclamate, prende spunto la riflessione del vescovo Mario. È meglio vivere in pace o è più conveniente la guerra? Possiamo contare sugli altri o è più saggio temerli? La direzione più giusta è che ciascuno rimanga a casa sua o che tutti siamo cittadini del mondo? È più saggia la solidarietà o l’indifferenza? Gli altri sono un dono e una ricchezza per noi oppure sono un fastidio e una minaccia? La signoria di Gesù è una convocazione universale, è riconosciuto dai credenti come il Signore di tutti. I discepoli di Cristo hanno risolto il dilemma: sono quelli che dicono che siamo fatti per essere fratelli, che siamo figli di Dio perché costruiamo la pace, che la direzione giusta è quella che va verso la fraternità universale e che desideriamo essere cittadini del mondo piuttosto che rinchiuderci intimoriti tra le pareti di casa; che la solidarietà ci rende tutti migliori, più saggi, più sereni e fiduciosi».
Un cammino verso l’unità che, tuttavia, «si può intendere in modi diversi, alcuni anche pericolosi», come dimostrano, appunto, la storia, ma anche il presente del “villaggio globale”.
«La globalizzazione è una specie di operazione commerciale che mette insieme tutto il pianeta, dove chi è ricco lo diventa ancora di più e chi è povero è sempre più povero. Si compra a poco in qualche parte del mondo e si vende in altre, moltiplicando i profitti».
E poi c’è la parola “tutti” che può essere alla radice del totalitarismo «con l’ambizione delle grandi potenze che hanno pensato di dominare tutti, di unire il mondo sotto un solo potere. Così i poteri del mondo cercano di estendere il loro dominio per assicurasi il maggior numero possibile di servitori. Una promessa di pace, a patto che tutti siano sudditi o un percorso di guerra seminato di morti». Al contrario, «il Signore non è un re della globalizzazione, non è un dominatore del mondo, ma è celebrato per la sua potenza nel dare vita».
Quella vita per cui si entra «dalla porta stretta» – che possono essere le difficoltà dell’ascesi per entrare nel Regno -, ma che è anche metafora dell’ingresso personale, “a uno a uno”. Una porta, però, «spalancata attraverso la quale entrano tutti coloro che hanno compiuto il gesto minimo della prossimità: del pane donato, dell’acqua offerta, della visita compiuta a chi è nella necessità».
«Non si cercano eroi o persone perfette, ma persone capaci del gesto minimo che dà sollievo. Il Vangelo è principio di vita buona che si propone per tutti come motivo di speranza e come principio per rinnovare la società, ciascuno con il gesto minimo». Vivendo ogni giorno la normalità del servizio come i due nuovi Diaconi permanenti ambrosiani, «perché il Vangelo sia annunciato, continui ad essere annunciato e ciascuno possa rallegrarsi della consolazione che il Vangelo offre.
Il Vangelo dice delle intenzioni di Dio: siamo chiamati alla festa del Regno, perché Gesù è risorto e tutti siamo convocati per partecipare alla sua vita. Perciò camminiamo verso la comunione con percorsi di comunità che convergono, non per interesse, non per costrizione, ma per attrazione».
E, alla fine della Celebrazione, il pensiero va anche – con l’augurio di una pronta guarigione – al terzo Candidato che avrebbe dovuto essere ordinato e che, per motivi di salute, non ha potuto, per ora, diventare Diacono permanente.

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