«Salvare la figura del cardinale Martini dalla banalità». È questo l’atteggiamento che l’Arcivescovo, nel suo saluto iniziale, raccomanda ai partecipanti al convegno intitolato «Il cammino di un popolo. Riascoltare oggi come il cardinale Martini immaginava la Chiesa di Milano”, che alla Fondazione Ambrosianeum riunisce diverse voci e un pubblico attento e partecipe. Occasione, la presentazione dell’ottavo volume dell’Opera Omnia martiniana, dedicata alla Lettere pastorali e programmatiche di colui che fu, dal 1980 al 2002, indimenticabile Arcivescovo di Milano.
Liberare il pensiero martiniano
«In questi anni il cardinale Martini è sempre citato come riferimento per tanti discorsi, ma qualche volta ho l’impressione che il suo messaggio, l’intensità della sua lettura della Parola, della situazione milanese, italiana, europea, della situazione della Chiesa cattolica e delle Chiese separate, delle altre religioni – tutta questa ricchezza straordinaria di cultura e di interpretazione – sia ricordata con banalità», nota subito monsignor Delpini che definisce «enigmatiche» due espressioni molto citate del predecessore.
La prima è che «la Chiesa sia indietro di 200 anni». «Indietro a chi e rispetto a che cosa?», si chiede monsignor Delpini, che vede come riduttiva l’interpretazione di tali frasi martiniane e si augura che si possa, invece, «accogliere il significato profondo delle sue intenzioni».
Così anche per l’atra famosa espressione: «La differenza non è tra credenti e non, ma tra pensanti e non pensanti». «Anche questa frase, presa come isolata, mi sembra sconcertante, perché sembra che si possa credere senza pensare e pensare senza credere. Mentre a me pare che il tema della fede e dell’intelligenza, della tradizione cristiana pensosa dell’umano e del divino, fosse uno dei temi cari a Martini». Mentre, l’interpretazione banalizzante di queste parole sembra «giustificare quel pensare che vive senza credere. Altrimenti rischiamo di rinchiudere il cardinale Martini in un’etichetta poco costruttiva». In realtà, «tutti i pensieri sono dentro una fede e occorre interpretare quello che lo Spirito dice alle Chiese oggi. Auguro che questa impresa – la pubblicazione del volume e il convegno – ci aiuti a raccogliere il pensiero, riconoscendone la provocazione per l’oggi e per la riflessione della Chiesa di Milano che è onorata di averlo avuto Pastore per tanti anni, con un’autorevolezza così unanimemente riconosciuta».
Presenti i vescovi Giuseppe Merisi e Franco Agnesi, il Moderator Curiae monsignor Carlo Azzimonti, sacerdoti e laici, l’assise, guidata dal vicario episcopale monsignor Luca Bressan, prende avvio con tre testimonianze
Le testimonianze
Francesca Mapelli, già vicepresidente Ac ambrosiana, ricorda la «lezione», seppur indiretta per una questione di età, venutale dal Cardinale, come per esempio di fronte allo «svuotamento degli oratori». «Un tema attualissimo anche oggi, in cui Martini si fa testimone, suggerendo un metodo che me lo rende vicino, quando parla della solitudine educativa e della possibilità di affrontare comunque le difficoltà, facendo comunità e vigilando su come utilizziamo il nostro tempo».
Don Isacco Pagani, professore di Introduzione ed Esegesi biblica e prorettore del Seminario arcivescovile, richiama tre insegnamenti espressi in altrettante Lettere pastorali: «Il rapporto tra la vita e la vitalità della Parola di Dio con In principio la Parola che, pur essendo io nato cinque giorni dopo la sua pubblicazione, mi permette di mettere ordine in ciò che vivo. Poi Ripartiamo da Dio: a distanza di anni riconosco l’appello all’essenzialità, tenendo lo sguardo fisso verso Colui che viene, ma con i piedi ben piantati per terra. In questo particolare tempo della storia della Chiesa, sento la necessità dell’inquietudine santa della ricerca del volto del Padre, continuando a interrogarci. Secondo le dinamiche della ricerca dell’identità della Chiesa, riconoscendo che solo Lui è la ragione ultima per vivere, aprendosi al dono della sua Parola e lasciandoci interrogare dalla sua grazia. Infine, Farsi prossimo, dove si affronta il rapporto tra la carità e la verità».
Terza testimone, Giusy Valentini ausiliaria diocesana e collaboratrice del Servizio per l’Ecumenismo e il Dialogo: «Mi ha colpito Quale bellezza salverà il mondo dove traspare, in Martini, lo sguardo sul tempo e sulla storia e il collegamento tra la Parola e la vita con il metodo della Lectio divina. È su quella Parola che la Chiesa deve sempre interpretare la storia», spiega. delineando i testi martiniani come «fonte di ispirazione negli incarichi che mi sono chiesti ora», anche a livello educativo e oratoriano.
Il dialogo tra Repole e Bressan
Su un articolato itinerario in cinque tappe, muove il confronto tra monsignor Roberto Repole, teologo e Arcivescovo di Torino, e monsignor Bressan.
A Ripartire da Dio in cui il Cardinale metteva in guardia da letture ideologiche della realtà e si rivolgeva ai cosiddetti “nuovi pagani”, si ispira il primo passo. «Appartengo alla generazione di chi ha visto nel cardinale Martini e nel suo Magistero un riformatore, in anni decisivi come quelli, per me, del Seminario e dell’inizio del ministero sacerdotale – ricorda Repole -. Frequentando il Seminario Lombardo a Roma, a contatto con i confratelli ambrosiani, ho poi capito che è stato anche un uomo capace di imprimere un metodo. Il coraggio di andare all’essenziale del Vangelo, della vita cristiana e, quindi, della Chiesa mi ha sempre affascinato. In lui è chiarissimo cosa fosse fondamentale, dalla prima Lettera La dimensione contemplativa della vita, rivolta a una città attivissima in cui arrivava come Vescovo, a Ripartire da Dio, 15 anni dopo, ripartendo dall’inesauribile di Dio»
Ripartire da Dio
E qui arriva l’affondo. «Dobbiamo ripartire da Dio, anche nelle nostre Chiese, non dando per scontato che Dio oggi sia il centro. Mi sembra che l’invito di Martini sia a recuperare i fondamenti del cristianesimo, anche rispetto a coloro che riteniamo vicini. Proprio perché questo non è più scontato e credere che, invece, lo sia è una delle grandi miopie della nostra prassi ecclesiale. Siamo nella necessità di riconoscere che questo fondamento del Dio inesauribile – il Dio di Gesù Cristo – vada riproposto continuamente. Anche perché non possiamo disattendere la profonda sete di Cristo e di Vangelo di oggi quando diamo, talvolta, l’impressione del dejà vu, continuando a presentarci come una religione per bambini. Noi oggi vediamo gli effetti del neopaganesimo, della post modernità e del pensiero debole di cui parlava Martini, perché ormai sono nell’aria che respiriamo. Il neonichilismo pratico, e non solo teorico, ha permeato la nostra società lasciando aridità profondissime e violenze non solo verso gli altri, ma anche verso noi stessi».
La vocazione universale alla santità
Seconda prospettiva, proposta da Bressan, è quella «della santità popolare».
Chiara la risposta dell’Arcivescovo di Torino: «Si devono superare le forme del clericalismo: credo che il messaggio martiniano ci riconsegni, come molto attuali, alcune visioni del Vaticano II come il secondo capitolo della Lumen Gentium, e l’universale vocazione alla santità del quinto. Una delle tentazioni a cui dobbiamo far fronte sta nel leggere la pari dignità di tutti nel cammino della santità, non come un’eliminazione delle differenze. Occorre saper percepire che ci sono esperienze del Dio inesauribile in ogni cristiano che incontriamo, ognuno con la sua diversità: guardiamoci con occhi interrogativi chiedendoci dove in me e in te sta operando lo Spirito e come lo stia facendo nella comunità, se consideriamo un’ottica sinodale. Nella vita ecclesiale di oggi esiste, troppo spesso, uno scarto tra l’appartenenza formale alla Chiesa e il coltivare tale appartenenza. Dobbiamo essere aperti a intercettare dove lo Spirito parla nella nostra libertà. Per questo occorre una formazione permanente, non come un livello tecnico di competenze da assumere una volta per tutte».
Evidente che, in gioco, vi sia il trovare «nuove modalità per una spiritualità laicale», specie per avvicinarsi ai più giovani a cui la Diocesi di Torino ha dedicato una catechesi specifica «che colga i fondamenti del cristianesimo».
Alternativi a una società disumana
E, ancora, si prosegue con «la comunità alternativa» secondo Martini, da comprendere come un ideale di fraternità nella società frammentata di oggi, anche perché, come scandisce monsignor Bressan, l’incontro non vuole approfondire una «dimensione archeologica» del pensiero martiniano. «I cristiani, che sono coloro che guardano con fede Gesù Cristo, stanno dentro la più ampia comunità umana – indica Repole -. Siamo alternativi nella misura in cui abbiamo un’identità specifica: alternativi rispetto alla tendenza narcisistica e individualistica di una certa cultura contemporanea, che minaccia la stessa esistenza della società. Il cristianesimo è sempre inculturato, contestualizzato, cioè in una cultura che, però, si può anche contestare»
Rimanendo all’interno «di una cultura di soli diritti, infatti, muore la società, se non ci si pone in una prospettiva di reciprocità buona. La Chiesa può oggi offrire questa prospettiva: una fraternità in divenire, come la chiamava Martini. Ossia un tessuto reale di fraternità, che se è vera, continua sempre ed è, dunque, in divenire. Va benissimo parlare di nuova evangelizzazione o di Chiesa in uscita, ma c’è un momento nel quale bisogna dire agli altri di venire, vedere e fare esperienze. Ma possiamo farlo invitando a venire nelle nostre comunità che sono, qualche volta, involucri e non veri laboratori di fraternità? Questa è la maggiore urgenza della Chiesa, anche perché spesso tutto il nostro servizio caritativo non è più il riverbero di Gesù, ma una forma di filantropia secolarizzata».
Il richiamo è all’«economicismo imperante» che sgretola i rapporti. «Chi guarda con fede a Gesù Cristo dovrebbe essere alternativo, preservando il primato della persona. Sennò cosa abbiamo da dare? – si interroga monsignor Repole -. Così come dentro le logiche della tecnocrazia si tratta di rimanere lucidi senza complessi di inferiorità rispetto alla modernità, chiedendo il perché di meccanismi disumanizzanti».
Offrire con gratuità il Vangelo
«In molti settori abbiamo fatto supplenza rispetto a mancanze della società che, però, cambia nel tempo». Solo una cosa non cambia: «O c’è la Chiesa che continua ad annunciare la trascendenza di Dio o la società si perde perché senza trascendenza si perde anche l’umano».
La domanda, insomma, è sempre la stessa: «Siamo veramente credenti, convinti che anche in questo tempo lo Spirito continua a soffiare, per cui possono anche cambiare le forme del nostro essere comunità cristiana, ma non cambia la sostanza?». Una domanda definita «serissima, anche perché rischiamo che «con alcune tradizioni del “si è sempre fatto osi”, si rompa la tradizione con la t maiuscola, la trasmissione del Vangelo che si pone il problema del futuro più che del passato, nel dialogo con tutti»
Infine, la città con la Lettera pastorale del 1991, Alzati a va’ a Ninive. Oggi, conclude l’Arcivescovo piemontese, nella città che sia Torino o Milano, abbiamo solo la strada di un «appello autentico alla libertà altrui, offrendo il Vangelo nella gratuità e portando il peso della possibile indifferenza e del rifiuto. Non c’è altrimenti possibilità di evangelizzazione nell’oggi».
Le conclusioni
Le conclusioni della mattinata sono affidate al presidente della Fondazione Martini, padre Carlo Casalone, e al vicario generale, monsignor Franco Agnesi.
«Quello che Martini voleva dare era una chiave interpretativa, tenere lo sguardo fisso sul volto di Gesù, non il volto trionfante, ma del servo sofferente. Se ci metteremo in questa logica come Chiesa, sapremo intercettare la ricerca di senso e l’inesauribile di Dio. Utilizziamo lo strumento della Lectio divina», termina il gesuita Casalone con parole cui fa eco il Vicario generale: «Martini fu un grande educatore. Diceva ai giovani; “È più facile fare le cose difficili perché il nostro cuore è fatto per le cose grandi”: Penso che questo ci richiami ad affrontare insieme le questioni senza paure e reticenze, guardando, come faceva lui, con realismo al cammino della Chiesa. Diceva ancora che il volto storico della comunione è la riconciliazione e mai come ora questo è importante, così come riconoscere la Grazia sempre operante. Ci è affidato il compito – come propone la Chiesa dalle Genti – di fare “con” e non solo “per”, nell’invito a stimarci a vicenda».