Entrare nel cuore del settimo comandamento. Leggerlo alla luce della vita quotidiana.
"Non ruberai" e’stato il tema della Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei che prelude alla settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, in programma dal 18 al 25 gennaio. Questa sera nella sala delle Colonne del Museo del Duomo a confrontarsi sono stati l’arcivescovo di Milano Angelo Scola e il rav Laras, presidente del Tribunale Rabbinico del Centro Nord Italia. La riflessione è partita dalla lettura del ventesimo capitolo del libro dell’Esodo.
Un dialogo a due voci, intenso, ricco di tantissimi spunti per un percorso di dialogo estremamente vivo.
Cosa vuol dire dunque non rubare? Rav Laras fa un lungo excursus nei testi della tradizione ebraica: “Rispetto a non uccidere e non commettere adulterio non rubare potrebbe essere considerato un comandamento minore. In realtà ha una estensione concettuale profonda -dice – Il non rubare dell’Esodo si riferisce al furto delle persone, al sequestro. Nel Levitico si riferisce alle cose. Tutti i vari commentatori sono attualmente di questa opinione perché è una disposizione tradizionale. Ma molti altri commentatori sottolineano anche che il non rubare di Esodo si riferisce alle cose.
Un’altra sottolineatura – prosegue – e’il furto del cuore e dell’intelligenza. Vuol dire mettere qualcuno su una strada sbagliata far capire qualcosa che non esiste. In ogni modo il significato primo è il sequestro di persona”.
Quella del non rubare è una tematica impegnativa sul piano etico sottolinea l’esponente della comunità ebraica: “Ieri come oggi – prosegue – c’è un idolo presente e dominante nelle società: l’utilitarismo. Cosa guadagno, cosa me ne viene? Questa è la stella polare che guida buona parte dei comportamenti”.
Dire dunque “quel che è mio è mio e quel che è tuo è tuo” è una posizione pericolosa: “perché fa sfociare nell’atteggiamento degli abitanti di Sodoma che rifiutavano il contatto l’ospitalità. In questo modo finiamo per diventare nemici della socialità e dell’incontro. Invece quello che è mio è tuo e quello che è tuo è mio è una disponibilità allo scambio, un modo di vivere compatibile con la società”.
Da qui parte dunque la proposta per un percorso comune: “Noi questa sera siamo qui a riflettere assieme nell’ambito dell’idea generale del dialogo – dice ancora il rabbino -. E dialogare vuol dire camminare insieme per dare un contributo alla promozione di tutto quello che abbiamo detto e estirpare il senso di utilitarismo. Cercando di instillare nei comportamenti anche il senso di spiritualità: non è esistente e reale solo quello che vediamo attorno a noi – i fisici parlano dell’antimateria – c’è un percorso ancora più lungo una destinazione lontana che a differenza di questa è eterna. Questa e una delle cose che possiamo fare bene. E se riusciremmo a trasmettere questa curiosità e voglia potremmo dire di aver fatto qualcosa assieme” ha concluso Rav Laras.
Per farlo occorre secondo l’arcivescovo di Milano Angelo Scola mettere in pratica quell’invito che Papa Francesco ci porge attraverso l’esortazione apostolica Evangelii gaudium a “uscire” con amore verso il nostro prossimo, senza steccati e senza pregiudizi : “Numerosi e decisivi sono gli esempi di questa “uscita” nelle sacre Scritture; basta pensare ad Abramo che esce dalla sua terra, a Giacobbe o a Giobbe, definiti entrambi come “uomini semplici” integri e retti davanti a Dio: una semplicità e integrità di cuore e di vita che implica l’uscita, l’appello a rivolgere il proprio volto verso il volto dell’Altro”. Una uscita che Emanuele Levinas, nelle sue celebri Letture talmudiche, aveva interpretato come un “io” che esce dal suo essere. Responsabile prima di tutto per gli altri. Qui Scola riprende le parole di Sant’Ambrogio quando esortava i singoli e il popolo a intervenire per ristabilire equità e giustizia. Parole, raccolte soprattutto nel Commento biblico all’episodio di Nabot, ucciso per rapina dal re Acab, che risuonano quanto mai attuali: se consideriamo – dice l’arcivescovo Scola – le tragedie dell’immigrazione e degli esuli in mezzo a noi:” ogni giorno – scrive Sant’Ambrogio – un Nabot viene oppresso, ogni giorno un povero è ucciso. Così terrorizzata l’umanità abbandona le sue terre, il povero emigra con i suoi figlioletti, portando il più piccolo in braccio; la moglie segue piangendo, come se accompagnasse il marito al sepolcro” Conclude il santo : “La terra è stata creata come un bene comune per tutti, per i ricchi e per i poveri”.
Ed ecco dunque l’attualità. Afferma ancora l’arcivescovo Scola: “Nella nostra società globalizzata, non solo permangono, ma crescono molte di queste ingiustizie, e a queste occorre reagire con determinazione e solidarietà gioiosa; in particolare come cristiani e come ebrei possiamo fare molto insieme per testimoniare l’esortazione alla santità contenuta nelle Dieci Parole, santità che riguarda sia la dimensione personale che quella pubblica, e costruire una ‘globalizzazione della solidarietà’ che superi il rischio della globalizzazione dell’indifferenza”.
Attuale lo studio dei comandamenti per l’educazione dei fedeli, come ribadito dal catechismo della Chiesa cattolica. Scola ricorda alcuni di questi punti di attualità: “ Il comandamento “non rubare” – dice – non è comprensibile se non come espressione del bene comune. Ciò implica il primato della “destinazione universale dei beni”. Solo subordinatamente si deve parlare di diritto alla proprietà privata. Un test assai significativo del corretto rapporto tra questi due insegnamenti è rappresentato dalla dottrina tradizionale secondo cui la necessità urgente ed evidente permette di disporre in modo proporzionato dei beni altrui”. No dunque né al collettivismo “che nega la dignità personale” che un “individualismo esasperato che misconosca il primato della famiglia umana”.
La seconda sottolineatura dell’arcivescovo è che “ai cristiani appare oggi particolarmente urgente sottolineare che il comandamento “non rubare” prescrive, nella gestione dei beni materiali e del frutto del lavoro umano, tanto la giustizia che la carità”.
Infine “il precetto “non rubare” implica il dovere morale della “restituzione”. La consapevolezza di questo dovere, ma soprattutto la sua effettiva pratica, sia a livello personale che a livello di istituzioni sociali, economiche, politiche e di interscambio tra nazioni, sono necessarie per la costruzione di un nuovo “ordine mondiale”. Solo la “restituzione” consente di riparare alla ferita inferta al diritto e alla giustizia lese nel furto” prosegue l’Arcivescovo.
La conclusione è un invito a un impegno comune: “Nella risposta all’appello alla santità contenuto nel Patto, come ebrei e come cristiani, abbiamo a cuore un dialogo che può divenire profezia e testimonianza per tutte le donne e per tutti gli uomini del nostro tempo. Operando insieme – conclude il cardinale Scola – rispondiamo alla vocazione di rendere presente la potenza del Patto nella storia umana”.