Un’opera magnifica, con una storia intricata come un romanzo, una tragica bellezza che, ancora dopo oltre mezzo millennio, interroga e lascia inquieti, e un nome – quello del suo autore – che è tra i più grandi di tutti i tempi, Masaccio.
È la Crocifissione, tavola a “fondo oro” che, proveniente dal Museo e Real Bosco di Capodimonte, è da oggi e fino al 7 maggio in mostra al Museo Diocesano “Carlo Maria Martini”, rinnovando così una collaborazione che già aveva portato al prestito dell’Annunciazione di Tiziano.
Per la presentazione, oltre alle curatrici dell’esposizione, Alessandra Rullo, curatrice del settore Opere del Rinascimento di Capodimonte e Nadia Righi, direttrice del Diocesano, ai rappresentanti di alcuni sponsor come la Banca BPER e sostenitori, tra cui la Comunità parrocchiale di Santa Maria Bianca della Misericordia al Casoretto, non hanno così voluto mancare l’Arcivescovo, accompagnato dal vicario episcopale per la Zona pastorale I-Milano, monsignor Carlo Azzimonti, e il vicario episcopale di Settore, monsignor Luca Bressan. È lui che, in apertura, spiega. «In questo capolavoro ci accorgiamo che vi è qualcosa di inedito che si contemplerebbe per ore. L’artista ci attrae con una visione che pone una domanda e un dolore che ci attraversa, non come le tante immagini di morte che ogni giorno vediamo nei telegiornali, ma che rimangono alla superficie. Penso che questa opera ben definisca uno dei compiti di un Museo Diocesano che è leggere i segni del divino e del trascendente che sono tra noi».
Le ragioni della scelta
Di un «capolavoro assoluto» parla anche Nadia Righi, illustrando le ragioni che hanno portato il Museo a dedicare l’iniziativa ad Alberto Crespi, notissimo giurista milanese che avrebbe compiuto 100 anni nel 2023 e che, nel 1999, decise, ancor prima che il Museo venisse inaugurato nel 2001, di donare al Mudi tutta la propria straordinaria raccolta di 41 dipinti su fondo oro, esposta in una sezione pensata dal direttore di allora, Paolo Biscottini, presente anch’egli alla presentazione.
«Questa esposizione cade in un periodo non casuale, in concomitanza della Quaresima e della Pasqua, un momento in cui, come è accaduto negli scorsi anni grazie a importanti collaborazioni con i Musei Vaticani, anche quest’anno il Museo propone un’iniziativa che aiuti a soffermarsi, attraverso un percorso storico-artistico, sulla Passione di Cristo, sollecitando una profonda riflessione su temi anche spirituali».
Per questo, ha proseguito Righi, «il prestito eccezionale di quest’opera, una vera e propria icona del primo Rinascimento, ci ha suggerito di adottare il criterio espositivo pensato in questi anni in occasione dell’iniziativa “Un capolavoro per Milano”», con un percorso che ricostruisce anche la collocazione originaria della tavola e, con un video, l’intero polittico di cui la Crocifissione rappresentava la cuspide.
L’opera
«È un Masaccio – riflette ancora la direttrice – che muore tropo presto e che porta un messaggio nuovo, che definisce lo spazio in modo rivoluzionario e che, seppure costretto dal committente a uno stile antico come quello del fondo oro, riesce comunque a ricreare uno spazio modernissimo, tenendo solo l’essenziale attorno al Crocifisso: san Giovanni, la Madonna e la Maddalena che l’autore aggiunge in un secondo tempo, dipinta di spalle, coperta da un mantello arancione con le braccia alzate, come l’urlo di un dolore umano enorme. Dolore umano e morte umana che vanno però oltre l’umano, come l’artista ci racconta con l’oro e l’albero sopra la croce».
«Il polittico – racconta, da parte sua, Rullo -, fu realizzato su commissione del notaio ser Giuliano di Colino di Pietro degli Scarsi per la sua cappella nella chiesa di Santa Maria del Carmine a Pisa. Sappiamo con certezza che Masaccio – che sarebbe morto dopo solo 2 anni nemmeno ventisettenne – era a Pisa il 19 febbraio 1426 per siglare i contratto e che venne pagato a compimento dell’opera il 26 dicembre 1426. Il polittico fu smembrato poco dopo gli anni Settanta del ’500 e ne sopravvivono oggi soltanto undici parti, sparse in diversi Musei del mondo».
Interessante anche pensare che la Crocifissione, essendo visibile, in origine, a 5 metri di altezza al vertice dell’intera opera, ponesse lo spettatore proprio come se fosse sotto la croce e che, in occasione dell’attuale esposizione milanese, la tavola sia adesso arricchita da una cornice, a lungo ricercata nel mercato antiquario, acquistata grazie al Museo Diocesano.
Le parole dell’Arcivescovo
«La crocifissione è stata sempre uno scandalo e san Paolo, fin dall’inizio, si scontra con la cultura a lui contemporanea proprio perché annuncia la crocifissione di Gesù Cristo», dice, chiudendo la serata, l’Arcivescovo.
«Dio ha scelto quello che nel mondo è debole, non è nulla. La crocifissione è uno scandalo ancora oggi – ad esempio, la cultura islamica non può sopportare di guardare il crocifisso – e questo ci pone la questione di come lo guardiamo noi e se ne comprendiamo la drammaticità, come esprime bene Masaccio. L’opera ci interroga, pone l’interrogativo, “Tu che guardi dove sei? Con chi dei personaggi ti identifichi?”. Questo mi dice lo spettacolo della Croce con la sua inquietante drammaticità», sottolinea il vescovo Mario che legge parte della famosissima lauda “Donna de paradiso” di Jacopone da Todi. «Il modo con cui Jacopone fa parlare Maria ne identifica il grido», eppure, conclude, «questo figlio così straziato è l’unica condizione perché ci sia la vita, l’albero della vita».
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