di Annamaria BRACCINI
Fare rete, continuando a co-costruire obiettivi raggiungibili e le dimensioni, sia culturali che metodologiche, necessarie a guidare un’azione concreta per combattere il disagio giovanile. Quel disagio messo in luce da tutti gli amministratori locali della Zona pastorale V Monza nel dialogo con l’Arcivescovo del 26 marzo 2022. Allora, il vescovo Mario aveva chiesto «di lavorare insieme, valorizzando quel molto di buono che già viene fatto». E così è stato, come ha ampiamente testimoniato l’incontro svoltosi, a Monza presso l’Auditorium della Provincia di Monza e Brianza, in cui è stato illustrato un lavoro, durato 4 mesi nella sua fase operativa, realizzatosi al fine di individuare appunto proposte e progetti per i giovani. Diverse le realtà partecipanti: l’amministrazione pubblica, la scuola, le parrocchie, la Commissione di Zona per l’animazione socio-culturale, il Terzo settore e anche la Prefettura. 50-60 persone che si sono ritrovare in 4 incontri e che, con il sostegno scientifico del Centro di Ricerca sullo Sviluppo di Comunità e la Convivenza Organizzativa (Cerisvico) dell’Università Cattolica, hanno stilato un breve documento che, in verità, è un punto di partenza, per ulteriori obiettivi da raggiungere in vista del bene comune. Così come hanno sottolineato Sabino Illuzzi, responsabile della Pastorale sociale per la Zona V, le docenti della Cattolica, Elena Marta e Daniela Marzana, e alcuni interventi, tra cui quelli del questore, Marco Odorisio e del sindaco di Monza, Paolo Pilotto.
Il percorso
Luca Santambrogio, presidente della Provincia di Monza e Brianza e sindaco di Meda, dice: «L’aspetto fondamentale dei tavoli è stato lo scambio di esperienze e di proposte. Nella mia realtà ho visto già riscontri positivi». Insomma, un incontro “di restituzione” importante a cui non hanno voluto mancare, tra molti altri, il vicario episcopale di Zona V uscente, monsignor Luciano Angaroni, e l’entrante, monsignor Maurizio Elli, il prevosto e decano di Monza, monsignor Luciano Provasi, diversi sacerdoti, tra cui il direttore della Fom, don Stefano Guidi, e il responsabile del Servizio per la Pastorale Scolastica, don Fabio Landi.
Elena Marta, in apertura, ricorda che «ascoltare significa anche posare lo sguardo. Per affrontare un problema così complesso, come è l’adolescenza, vi è bisogno di una rete, perché crescere è un’ impresa congiunta intergenerazionale. Abbiamo voluto accompagnare il territorio a leggere ciò che esiste, con tutte le sue potenzialità e le risorse, per una vita che vale la pena di essere vissuta». Quindi non una ricerca, ma «una ricercazione», come viene definita. «Dirsi che cosa si vuole costruire insieme diviene cruciale e darsi una cornice in cui riconoscerci, come attori diversi, può aiutare a porci come punto di riferimento adulto: ciò che gli adolescenti sempre cercano e ora più che mai».
Da qui i gruppi di lavoro, partiti da cosa si voglia intendere con il termine adolescenza, per arrivare a identificare i numerosissimi progetti sul territorio e le sfide. Una su tutte: «Uscire dalle etichette, applicate all’universo giovanile, ponendo mano all’impresa di “aggiustare il mondo” a più livelli, con interventi riparativi, laddove vi sia bisogno, come pure di promozione di quei ragazzi che non hanno problemi gravi, ma necessità di essere valorizzati, facendo da ponte con i coetanei». Senza dimenticare «una cabina di regia per questa rete integrata».
L’Arcivescovo: «Scommettiamo sui giovani»
«Scegliendo un’età simbolica, vorrei partire dall’incanto e dallo spavento di avere 15 anni, con le sue domande inquietanti e inevitabili su come meritare la stima degli altri, come farcela a vivere in questo mondo, come amare. Quella è un’età che sperimenta insieme queste due dimensioni», spiega l’Arcivescovo tirando le conclusioni dopo quasi 2 ore molto intense di confronto. «Io non credo nel fatalismo, nel senso che non voglio sottovalutare i condizionamenti presenti nel nostro tempo, e tuttavia, apprezzo le inesauribili risorse dell’evoluzione umana. Non penso che se le famiglie sono problematiche, allora i giovani che ne fanno parte siano condannati. Per creare un mondo migliore vogliamo scommettere sulle persone», aggiunge.
«La domanda che mi pongo spesso è come può nascere nei ragazzi il desiderio di crescere se gli adulti sono così scontenti. Se anche facciamo moltissime cose buone per loro, come potranno desiderare di essere un padre, una madre, un prete?». Cosa proporre, dunque? Immediata la risposta del vescovo Mario. «Occorre stimolare il protagonismo intergenerazionale, perché gli adolescenti si sentano responsabili dei loro coetanei e i più grandi dei più giovani. Pensiamo, ad esempio, agli oratori che non sono una bolla privilegiata nella realtà giovanile così come viene descritta normalmente, ma un laboratorio interessante in cui il protagonismo dei ragazzi si fa responsabilità. Forse le amministrazioni comunali, la scuola e altre agenzie, possono promuovere eventi che facciamo emergere risorse affascinanti quali il gusto dei ragazzi di fare cose belle. Le Istituzioni possono immaginare qualche forma esemplare di propositività e vediamo tutti insieme come possiamo tirare fuori il bene dai nostri giovani».
Poi, arriva anche una preoccupazione nelle parole dell’Arcivescovo. «Vi sono dimensioni della vita di un ragazzo o di una ragazza che non si possono censurare. La prima è la dimensione religiosa dell’adolescente: le domande sulla morte, la vita, l’amore, a cui solo Dio può dare risposta, meritano di essere considerate. Abbiamo una parola da dire che dà speranza, mentre ora la speranza pare proibita e sembra che non si possa parlare di Dio in una società laica. Inoltre, c’è la dimensione affettiva. Abbiamo bisogno di persone che siano capaci di ascoltare i ragazzi sulle cose fondamentali. Noi siamo pronti a dare il nostro aiuto».