Nel gennaio del 1964 Paolo VI fu il primo Papa a recarsi pellegrino in Terra Santa. Il legame con Gerusalemme e gli altri luoghi santi è sempre stato centrale nella vita e nel pensiero di Carlo Maria Martini. È solo uno dei punti di contatto tra il Pontefice oggi Santo e il Cardinale di cui quest’anno ricorrono i dieci anni dalla morte. Proprio una studiosa della Terra Santa, dove condusse come guida migliaia e migliaia di pellegrini, Pia Compagnoni (scomparsa nel 2016), qualche anno fa scrisse una testimonianza sull’amicizia tra papa Montini e il suo futuro successore come Arcivescovo di Milano. Per gentile concessione della Fondazione Carlo Maria Martini la riproponiamo nell’anniversario della morte di Paolo VI (6 agosto 1978).
Nel febbraio del 1978 padre Carlo Maria Martini diede gli esercizi spirituali a Paolo VI in Vaticano. Fu anche l’ultimo incontro tra i due amici, perché il 6 agosto, festa della Trasfigurazione, tanto cara ad ambedue e giorno del transito del Pontefice, Martini era a Gerusalemme. In quell’occasione mi fece dono degli esercizi fatti seguendo il Vangelo di Matteo e mi parlò a lungo del «Papa del dialogo». Ne sottolineava la squisitezza nell’ascolto, tutto teso ad ascoltare per valorizzare tutto ciò che l’altro gli diceva.
I due amici si assomigliavano molto. In più erano ambedue molto riservati e timidi, ma fermi e decisi. Avevano molte cose in comune: un grande amore per Gesù Cristo, la Chiesa e la Parola di Dio, convinti ambedue che la Bibbia non presenta tanto la teologia della creatura umana, quanto piuttosto l’antropologia di Dio. Nei testi della divina Rivelazione è possibile trovare il progetto divino sulla storia e farsi un’idea teologicamente corretta di chi sia veramente la creatura umana davanti a Dio, di quali siano la sua vocazione più alta e il suo ultimo destino, pur in tutta la complessità dell’esistenza concreta. Questa è stata anche l’intuizione del pensatore ebreo Abraham Joshua Heshel.
Padre Martini fece parte di un gruppo ristretto di cinque biblisti: Kurt Aland, Matthew Black, Bruce M. Metzger, Allen Wikgren e lui, unico cattolico. Tutti esperti di critica testuale, di filologia greca e aramaica e di storia della traduzione. Lavorando insieme, a lungo, pubblicarono la nuova versione del Nuovo Testamento, che doveva servire da base per la traduzione nelle altre lingue. Paolo VI apprezzò molto questa fatica e il volume l’aveva a portata di mano. Anche il cardinale Martini, eletto Arcivescovo e consacrato il giorno dell’Epifania 1980 in San Pietro, fece l’ingresso a Milano il 10 febbraio tenendo in mano questo Nuovo Testamento.
Durante il Vaticano II (1962-1965), io ero a Roma, nella sala stampa del Concilio, a fianco del direttore monsignor Vallainc, a servizio dei vescovi e dei giornalisti. Padre Martini era appena arrivato dal Piemonte per insegnare Sacra Scrittura al Pontificio Istituto Biblico. Insieme ai suoi fratelli Gesuiti seguiva la genesi della Costituzione sulla Parola di Dio, la Dei Verbum.
Erano momenti molto delicati, perché se i padri conciliari avessero messo delle regole troppo strette all’esegesi storico-critica e alla lettura della Bibbia da parte dei laici, non avremmo avuto quella grande conoscenza che ne è seguita. Tutto questo stava a cuore a Paolo VI, che contava molto sulla collaborazione di padre Martini e del suo Istituto Biblico. Il testo della Dei Verbum venne approvato il 18 novembre 1965 e anche per me questo giorno è stato uno dei più belli del Vaticano II.
Origene, commentando il Vangelo di Giovanni, dice: «Se ti capita di incontrare qualcuno che non sa solo esporre con sottigliezza la dottrina della verità di Cristo, ma sa anche farla trasparire, non esitare ad affermare che per lui le vesti di Gesù sono diventate splendenti come la luce». Così è stato di Giovanni Battista Montini e di Carlo Maria Martini, e io ringrazio il Signore per averli conosciuti e per il grande dono della loro amicizia.