Ci sono parole, riflessioni, eventi nei quali, con un’evidenza straordinaria, si mostrano per intero la preveggenza e la cifra di pensiero di un’intera vita. Così come accade a scorrere i discorsi che Giovanni Battista Montini, quale arcivescovo di Milano, dedicò alla Fiera Campionaria. Discorsi, appunto, segnati da una visione profetica e acuta nell’intuire la forza del progresso, la sua fascinazione come pure i suoi pericoli, laddove non si faccia il bene dell’uomo e non si sia al servizio della società.
Si legge tutto questo nelle e tra le righe del volume “I discorsi dell’arcivescovo Giovanni Battista Montini per la Fiera di Milano” (SilvanaEditoriale), curato da monsignor Marco Navoni e presentato presso la Biblioteca Pinacoteca Ambrosiana alla presenza dell’Arcivescovo e del prefetto della prestigiosa Istituzione fondata da Federico Borromeo, monsignor Marco Ballarini.
Un saggio che si pone «come il primo frutto dell’accordo culturale tra l’“Ambrosiana” e la Fondazione Fiera Milano (nato per sostenere la pubblicizzazione del restauro del “Cartone della Scuola di Atene” di Raffaello, ormai giunto a conclusione). «Accordo che potrebbe essere un prototipo anche per altre realtà milanesi», spiega Lorenzo Ornaghi, presidente della Congregazione dei Conservatori dell’ “Ambrosiana” che aggiunge: «Chi legge questi discorsi si rende conto della straordinaria intelligenza delle cose e pastorale di Montini. Con la convinzione di poter andare oltre le nebbie delle contingenze, capì che quello che si andava profilando fosse un sistema globale, come si chiamerà poi».
Emozionato anche come bresciano, si dice il presidente della Fondazione Fiera, Giovanni Gorno Tempini che, facendo riferimento all’accordo citato dal presidente Ornaghi, osserva: «si tratta ormai di una vera e propria alleanza».
«La lettura di questi discorsi è stata di interesse straordinario. Nel periodo dal 1955 al 1963, in un periodo che tanto significò per l’economia italiana e il mondo cattolico, Montini usò parole di sincero entusiasmo. Ma egli è stato probabilmente la prima alta carica ecclesiastica ad aver compreso la Fiera, non solo come luogo di scambio commerciale, ma anche umano e culturale, sottolineando il tema dell’etica in una Milano che era, allora, un laboratorio straordinario, all’avanguardia della ricostruzione, mettendo a confronto diverse idee sulla produzione e il mondo del lavoro, sul progresso». Basti pensare al concetto della responsabilità sociale di impresa – come la definiremmo oggi -, la cui logica Montini indica agli operatori della Fiera».
E la volta, poi, di monsignor Navoni, curatore dell’opera e viceprefetto dell’“Ambrosiana” che delinea un approfondito affresco del tempo dell’Episcopato montinaino a Milano e del rapporto dell’Arcivescovo con la Fiera.
«Montini trovò una società che si stava profondamente trasformando: ai campanili delle chiese andavano sostituendosi le ciminiere degli stabilimenti e al suono delle campane le sirene delle fabbriche. E l’Arcivescovo intuì immediatamente che, in prospettiva, il problema che la Chiesa avrebbe dovuto affrontare sarebbe stato quello di una progressiva “secolarizzazione” (anche se il termine non compare negli scritti montiniani), con lo scollamento, se non la reciproca estraneità, tra un mondo del lavoro sempre più evoluto e la dimensione religiosa della vita. E, tuttavia, dell’effervescente mondo milanese tra fine anni Cinquanta e inizio anni Sessanta del secolo scorso, con tutti i suoi complessi problemi, il fenomeno Fiera di Milano fu senz’altro quello che colpì in maniera singolare l’arcivescovo Montini: a tal punto che a partire dal 1956 fino al 1963, a pochi mesi dalla sua elezione a vescovo di Roma, ogni anno volle essere presente tra i padiglioni della Fiera; ma non solo: praticamente ogni anno invitò gli espositori a partecipare a una Celebrazione eucaristica loro riservata, nelle principali Basiliche della città, a cominciare dal Duomo».
Di fatto, Montini restò profondamente colpito da quello che lui stesso ebbe a definire il “mondo incantato” della Fiera Campionaria».
Dunque, un sincero entusiasmo, ma mai ingenuo, infatti, «l’Arcivescovo aveva intuito come nel progresso sia per così dire insito un limite che più che risolvere, può talvolta creare nuovi e impensati problemi: nel 16 aprile 1961 (4 giorni prima, Yuri Gagarin aveva percorso lo spazio e Montini ne fa allusione) chiese: “E tutto questo progresso a che cosa servirà, alla pace o alla guerra? Che sarà il frutto finale di tanta fatica?”. Quasi una “profezia”, un “presentimento”, che nel cosiddetto progresso, se incontrollato, potevano annidarsi le condizioni di un futuro di disperazione negativo per la vita dell’uomo».
Insomma, anche se il termine non ricorre mai nella predicazione montiniana, la questione era, già ai tempi, quella della sostenibilità del progresso.
«Ciò che risulta essere il tema forse più originale è la possibilità, anzi la doverosità, di “trascendere” la pura dimensione sociale ed economica di cui la Fiera era indiscusso emblema, per risalire alla dimensione spirituale dei principi e dei valori eterni. Complessivamente i discorsi di Montini alla Fiera e sulla Fiera sono la prova non solo della tensione evangelizzatrice da parte dell’Arcivescovo nei confronti della modernità, ma anche della sua volontà di intessere un rapporto di autentico e schietto dialogo con la vivace e produttiva società milanese negli anni del cosiddetto “boom” economico. E tali discorsi rivelano che in questo dialogo egli elesse gli operatori della Fiera a suoi interlocutori privilegiati. Che la ricostruzione di questo rapporto, così tenacemente auspicato da Montini negli anni del suo Episcopato milanese, si sia di fatto realizzata non è possibile dirlo; anzi lo iato tra religione e modernità, con il passare dei decenni, sembra essersi ulteriormente allargato. E, tuttavia, l’aver richiamato con forza la necessità e l’urgenza di tenere presente il problema e di trovare una soluzione plausibile e percorribile, è senz’altro l’indicazione che Giovanni Battista Montini, ha trasmesso come valida e attuale anche per il nostro presente».
Parole cui fa eco l’articolato intervento del prefetto monsignor Ballarini che ripercorre il rapporto tra Montini e l’“Ambrosiana” della quale l’allora Arcivescovo disse: «Qui nessuno è straniero e chiunque ambisce salire i sentieri dell’umana cultura può qui sentirsi cittadino nella sua patria». Infine, le conclusioni dell’arcivescovo Mario
L’intervento dell’Arcivescovo
«Forse per un po’ di fierezza milanese, si può dire di come Montini abbia dato molto alla Chiesa ambrosiana, ma anche Milano abbia dato molto a lui. Mi sembra che la città lo abbia provocato a esprimersi, a indagare quello che era sotto i suoi occhi e a darvi un orientamento. La realtà lo ha spinto a esprimersi e a pensare, elaborando una valutazione della modernità e della sua dimensione economica finanziaria e mercantile, che gli allargato gli orizzonti e che, poi nel Pontificato, ha dato molto frutto. La passione montiniana per i risultati del progresso, della scienza e della tecnologia è evidente, così come la sua prontezza nell’intuirne i pericoli. Egli rivendica una sorta di spiritualità della scienza e dell’attività produttiva, sottolineando l’importanza di un umanesimo irrinunciabile. Forse possiamo dire che ci sia stato un esercizio dell’intelligenza delle scienze umanistiche che non è riuscito a dare una spiegazione persuasiva rispetto allo strapotere delle scienze.
Ritengo che l’impegno che Montini prese, di essere presente ogni anno alla Fiera, è un buona intenzione che egli ha esercitato con spirito profetico e lungimirante, ma che non ha avuto un’incidenza nell’orientare il mercato e la produzione.
Rimane una dimensione etica della produzione, del commercio e della sostenibilità che sfida, anche oggi, una logica refrattaria e alternativa ai valori e ai richiami etici. Che ci si proponga quasi un superamento dell’umano nei progressi della scienza segnala questa problematica. Da questo volume raccogliamo, quindi, un invito e un compito da svolgere, facendoci carico della dimensione umanistica del nostro tempo per il bene dell’umanità. Ci viene consegnata una responsabilità che gli intellettuali devono esercitare».