Dura ormai da quasi quarant’anni la storia di accoglienza dell’antico borgo di Monluè. Ovvero da quando, nel 1986, il cardinale Carlo Maria Martini volle aprire qui la prima struttura a Milano per l’accoglienza dei rifugiati. Nacque così La Grangia, che nel nome rievoca l’antica pieve agricola sorta attorno all’abbazia degli Umiliati, che si stabilirono qui nel XIII secolo. Negli anni scorsi anche la vecchia scuola è stata trasformata in spazio per l’accoglienza, con il nome di Casa Monluè, e ospita ora i rifugiati ucraini. Tra pochi mesi si chiuderà il cerchio, con il completo recupero dell’antica cascina: nascerà La Corte del bene comune, un insieme di spazi pensati non solo per rispondere ai bisogni dei più fragili (a partire dal lavoro per giovani con disabilità psichica), ma anche per chi vorrà vivere il borgo in uno spirito di condivisione e di scambio col territorio.
Preghiera e servizio
Uno scambio che per La Grangia e Casa Monluè è già intenso, con molti volontari delle vicine parrocchie del quartiere Forlanini che danno una mano, dall’animazione con i piccoli ucraini ai lavori di manutenzione, fino alle serate di festa insieme agli ospiti. Uno spirito che le Suore di Maria Bambina, volute alla Grangia nel 1988 dallo stesso cardinale Martini, desiderano rilanciare, rivolgendo ai giovani la proposta di vivere qualche giorno nella comunità, condividendo sia il ritmo della preghiera, sia il servizio agli ospiti. «La presenza della nostra comunità di consacrate all’interno della Grangia aiuta a creare un clima di famiglia, a far sì che chi arriva – sono 24 i rifugiati ospitati, provenienti dall’Africa subsahariana, dal Medio Oriente o dal Pakistan – trovi qualcuno che lo accoglie», sintetizza suor Monia Ruggeri, che fa parte dell’équipe educativa della Grangia. «Con l’Arcivescovo – che il 29 aprile incontrerà le realtà della zona che operano nell’accoglienza e con i disabili – vorremmo condividere il desiderio che la Grangia sia sempre più un posto vissuto da tutti, perché queste opere di carità non rimangano separate rispetto al resto della città», aggiunge suor Monia.
Tranquillità nel verde
Per gli ospiti ucraini di Casa Monluè, sperimentare l’accoglienza significa anche poter visitare la città. «Cerchiamo di mantenere alto anche il livello culturale delle nostre proposte», sottolinea Christian Boniardi, coordinatore della struttura gestita dalla cooperativa Farsi Prossimo. Così, il Giovedì Santo, con una trentina di ospiti è stata organizzata la visita al Cenacolo vinciano. Casa Monluè ospita ora 88 rifugiati ucraini, 25 minori, ma anche molti anziani. E dunque il verde – in questo luogo separato dalla città, ma per paradosso anche protetto, dalla Tangenziale est – offre uno spazio di tranquillità, nota Boniardi. Sia per i giochi da cortile dei più piccoli, sia per le donne più anziane, che in questi giorni stanno piantumando l’orto.
Ed entro il 2025 sarà tutto il complesso dell’antica abbazia a tornare a nuova vita, nel progetto che vede alleati Comune di Milano e Diocesi, insieme a diversi altri partner, per La Corte del Bene comune (leggi qui). Il restauro conservativo sta già svelando nuovi tesori, come un pavimento in cotto del XIII secolo appena riportato alla luce. Qui troveranno posto alloggi per l’autonomia abitativa e spazi per il lavoro di giovani disabili, ma anche un’offerta di “turismo accessibile”, rivolta cioè a famiglie con particolari necessità, così come spazi per mostre e concerti. E dunque Monluè sarà sempre più un borgo da vivere insieme.
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