Un impegno a 360 gradi, fatto di generosità e accoglienza, talvolta anche solo di un the caldo e di un primo rifugio al coperto per sfuggire alle temperature di inizio primavera, ancora molto rigide nei Paesi dell’Est, specie la notte. È quello che racconta, con semplicità esemplare in collegamento skype dalla Repubblica della Moldova, Igor Belei, direttore dell’Associazione Missione Sociale “Diaconia”.
Cos’è “Diaconia”?
È una sorta di Caritas, la struttura sociale della Chiesa ortodossa, che è la più seguita e diffusa in Moldova. Siamo attivi da circa vent’anni e lavoriamo a stretto contatto con la Chiesa cattolica, in specifico con Caritas ambrosiana, con la quale abbiamo sviluppato tanti progetti. Si può dire che praticamente abbiamo iniziato con Caritas la nostra missione sociale in Moldova.
Lei si è recato in questi giorni in Ucraina: qual è la situazione?
La Moldova, come si sa, è il Paese più povero dell’Europa, ma siamo stati subito solidali con i nostri vicini ucraini. La popolazione qui è cresciuta in modo esponenziale per l’arrivo dei profughi – sono transitate infatti oltre 300 mila persone, con una percentuale altissima a livello relativo su un totale di 2 milioni di abitanti -, sostenuti più dalla gente comune che dall’autorità: infatti più di tre quarti dei rifugiati sono accolti nelle case di privati cittadini. Questo ha reso ulteriormente problematico il sistema di welfare moldavo, già debole. Attualmente nel territorio della Moldova ci sono oltre 100 mila profughi, di cui la metà bambini.
Come si articola il piano di aiuti messo in campo da “Diaconia”?
Abbiamo un centro logistico che ha distribuito cibo a oltre 3000 persone in 31 centri per rifugiati. In una casa di accoglienza sono accolti adulti e bambini. Abbiamo un “Ludobus di Diaconia”, attivo anche nel passato per portare un sorriso ai bambini più disagiati, e che ora, in guerra, ha visitato nove centri per profughi, allestendo laboratori e giochi con tredici volontari e una psicologa. Infine, “Diaconia” ha portato beni materiali alla dogana Tudora-Starokazachie, prelevati dagli operatori di Caritas Odessa, e aperto un centro di emergenza a Criva-Mamaliga. È particolarmente importante poter contare sul sostegno di tipo psicologico, perché le donne hanno la responsabilità dei figli e spesso soffrono anche per aver lasciato in Ucraina le proprie case e i mariti arruolatisi.
Il Papa ha espresso la sua preoccupazione appunto per la tutela delle donne rimaste sole e dei più indifesi, come i minori. Emergono già notizie di violenze e dell’odiosa pratica della tratta di esseri umani. Vigilate anche su questo aspetto?
Sì, da questo punto di vista la Moldova è estremamente attenta. Stiamo lavorando in collegamento con l’autorità statale per non lasciare soli i bambini che entrano da noi non accompagnati. Esistono meccanismi di controllo per proteggerli e non permettere contatti a chi potrebbe approfittarne.
Di cosa si occupa il nuovo Centro di emergenza aperto al nord, presso il confine?
Si tratta di un punto di prima accoglienza in una zona non molto abitata. Di lì arrivano soprattutto di notte coloro che scappano per lo più dalla zona di Kiev. Per questo abbiamo approntato un luogo dove poter arrivare a qualunque ora, dormire, trovare prime indicazioni e un letto sotto un tetto. A volte basta anche solo un the caldo.