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Testimonianza

Missionari in Turchia a servizio del Vangelo

L’impegno dei «fidei donum» ambrosiani nei luoghi delle prime comunità, oggi sparse in un numero piccolissimo su un territorio di ottanta milioni di abitanti. Vicine anche nella lontananza grazie alle piattaforme online

di Maria Grazia ZAMBONFidei donum in Turchia

12 Luglio 2020
Maria Grazia Zambon davanti alla chiesa di Tarso con alcune consorelle in visita

In tutti questi anni il cuore del mio servizio alla Chiesa in Turchia – prima ad Antiochia e attualmente ad Ankara – è quello di «raccontare la Buona Novella annunciata da Gesù Cristo», con una triplice modalità: verso i non cristiani (con incontri informali con i visitatori della parrocchia di Santa Teresa di Lisieux, con rapporti di buon vicinato, ma anche attraverso seminari di studio presso la Facoltà teologica islamica di Ankara o altre istituzioni che ne facciano richiesta esplicita); verso coloro che chiedono un cammino di fede che li porti al Battesimo (lungo il percorso di catecumenato); verso coloro che sono cristiani «di vecchia data» (nella pastorale ordinaria, ma anche attraverso la «Scuola della Parola» e cammini di formazione a giovani, donne e famiglie).

Troppo spesso la Chiesa di Turchia viene presentata come una «reliquia» e così tanti sono convinti che qui non esista più il cristianesimo. Eppure tra ottanta milioni di abitanti ci sono ancora 200 mila cristiani locali sparsi su tutto il territorio in minuscole comunità – certo un numero piccolissimo, quasi ridicolo – a cui ora si aggiungono i tanti rifugiati.

Una Chiesa che è più piccola del più piccolo dei semi, e che, benché abbia radici molto profonde, è come un fragile germoglio, continuamente bisognoso di essere custodito e accompagnato perché possa crescere e fruttificare uscendo dal suo sentirsi isolata e abbandonata.

E, così, tra gli altri impegni, facendo io parte di un’equipe voluta dalla Cet (Conferenza episcopale turca), attraverso corsi di formazione a livello nazionale, aiuto i cristiani locali ad approfondire la Storia della salvezza, introducendoli alla Bibbia, alla storia della Chiesa e alle problematiche di un cristiano del XXI secolo, perché possa essere sempre più luce, sale e lievito, segno efficace di Gesù Cristo e fermento di amore e riconciliazione.

Purtroppo anche noi, coinvolti dalla pandemia del Covid-19 quest’anno abbiamo dovuto sospendere tutti i nostri incontri, ma qui, abituati alle grandi distanze e a una sorta di solitudine, grazie all’uso del web e delle varie piattaforme online esistenti, riusciamo a mantenere e rinsaldare i legami anche con la reclusione in casa e a raggiungere anche persone «irraggiungibili» in altro modo.

Questa, dunque, è una preziosa occasione per scoprire che si può essere vicini anche nella lontananza, che basta poco per sentirsi uniti anche a centinaia di chilometri di distanza gli uni dagli altri, che si può vivere la comunione ecclesiale e fraterna anche nelle proprie case e questo, visto che le chiese-edificio e il personale ecclesiale qui è veramente scarso, per chi si trova isolato, solo, senza la presenza di una struttura o una comunità cristiana di riferimento, scoprirsi «Chiesa domestica» come avveniva proprio qua per le prime comunità cristiane, è il più bel dono in questo periodo di dolore e incertezza, un vero e proprio tempo di grazia.

È una grande opportunità di comunione con il corpo della Chiesa universale, scoprendo che la testimonianza più vera da vivere attualmente è l’unità intorno alla Parola di Dio che si fa vita, solidarietà, condivisione e preghiera di intercessione; e anche io da loro imparo il coraggio e la tenacia, crescendo nella mia fede di tutti i giorni.

«Voi siete il campo di Dio»: credo che questa frase che san Paolo indirizza ai Corinti (1 Cor 3,9) ben si addice a quanto viviamo in Turchia: siamo una «piccola zolla di Dio», una «terra di mezzo» che vuole essere ospitale per diventare uno «spazio» di ristoro, di riposo, di sosta, piangendo con chi piange, gioendo con chi gioisce, cercando di sperare contro ogni speranza, consolando e condividendo la stessa fragilità e impotenza.

Ambrosiani presenti dal 2001, attività e iniziative

Era il primo ottobre 2001 quando, grazie all’intuizione profetica e la volontà del cardinale Carlo Maria Martini, la Diocesi di Milano mise ufficialmente piede in Turchia con i suoi fidei donum. Da allora, attraversando tanti avvenimenti che hanno coinvolto e sconvolto questa terra, con la presenza da diversi anni di don Giuliano Lonati e di Mariagrazia Zambon, laica consacrata dell’Ordo virginum ambrosiano, la Chiesa di Milano cerca di essere accanto alla Chiesa sorella che proprio qui continua a essere «un grande laboratorio di fede».
Dal 2017 si tengono corsi di iconografia in Cappadocia (dove è nata questa tradizione) a donne turche e italiane: viene proposta l’esperienza della «scrittura» completa dell’icona del Pantocratore, in un percorso di arte, conoscenza e fede, a livello personale e comunitario, e grazie alla vita residenziale diventa un vero e proprio laboratorio d’arte e di preghiera, con l’accompagnamento spirituale del vescovo monsignor Paolo Bizzeti. Il corso estivo sarà riproposto anche quest’anno, dal 19 al 29 agosto.
Dal dicembre 2018, in una cittadina sperduta nel cuore dell’Anatolia, sono presenti due suore Comboniane che hanno risposto all’invito di monsignor Bizzeti a occuparsi dell’apostolato ai numerosi rifugiati cristiani di lingua araba che lì vi abitano, provenienti dai Paesi confinanti con la Turchia. Insieme a suor Expedita Perez Leon, spagnola con 28 anni di esperienza missionaria in Italia, Sudan ed Egitto, c’è suor Janette Castro - brasiliana, da 25 anni a servizio della Chiesa in Medio Oriente (prima nel Golfo Persico-Dubai, poi in Giordania e in Israele) - che sintetizza così il motivo della loro presenza: «Abbiamo accettato l’apostolato ai rifugiati perché si tratta indubbiamente di un segno dei tempi. Durante i primi anni del suo pontificato, papa Francesco ha espresso speciale preoccupazione per la triste situazione di tanti migranti e rifugiati che fuggono dalle guerre, dalle persecuzioni e dalla povertà. Il nostro essere qui esprime la sollecitudine della Chiesa verso questi nostri fratelli e sorelle - soprattutto donne, giovani e bambini - attraverso l’accompagnamento spirituale, la formazione catechetica e umana».

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