Mind è un acronimo che sta per Milano Innovation District, una vera e propria «città nella città», come è stata definita. Ma in inglese mind significa «mente», parola che evoca subito la progettazione e il futuro.
Ed è interessante, allora, che a voler visitare gli spazi di Mind sia stato nei giorni scorsi anche l’Arcivescovo, accompagnato dai vertici della società Arexpo, dai progettisti e dal vicario episcopale monsignor Luca Bressan. È lui che spiega perché la Chiesa ambrosiana si senta stimolata a riflettere su questa grande trasformazione metropolitana: «Non si tratta semplicemente di una riflessione, ma di qualcosa di più potente, ossia di immaginare il futuro della città insieme a chi questa stessa città la disegna e quindi di pensare, in essa, anche il futuro della Chiesa».
Per questo vi siete recati a Mind?
Sì, e abbiamo accettato volentieri l’invito. Forse a qualcuno può apparire una scelta strana per la Chiesa, ma già l’arcivescovo Montini aveva accettato di dialogare con Enrico Mattei, allora presidente dell’Eni, al fine di costruire chiese nei nuovi spazi urbani che andavano creandosi con il boom economico. Anche noi, oggi, vogliamo che la Chiesa cresca dove la città cresce e, per questo motivo, abbiamo ascoltato domande e abbiamo portato a nostra volta alcuni interrogativi su un settore, come quello dell’innovazione, che ci chiede di essere interpretato anche con gli strumenti della nostra tradizione.
Cosa è più urgente comprendere di questi nuovi sviluppi?
Credo che sia necessaria una riflessione filosofica che ragioni sul futuro dell’umano e della sua evoluzione. Occorre capire quale sia oggi il ruolo dell’etica, chi sia l’uomo e ciò che lo contraddistingue: una riflessione che ci affascina e, allo stesso tempo, ci è richiesta come cristiani. Insieme a tutto questo, ci interessa essere presenti per rendere evidenti quelle dimensioni dell’umano che la Chiesa di Milano non dimentica, per esempio, nelle periferie che non hanno la fortuna di sviluppare un progetto edilizio urbanistico come Mind, ma che meritano tuttavia di poter pensare al loro domani in modo diverso dall’attuale.
È prevista l’edificazione di qualche luogo di culto all’interno di Mind?
Si calcola che saranno 70-80 mila le persone che ogni giorno vivranno nell’area, tra cui 15-20 mila residenti. Il comitato strategico chiede alla Chiesa una presenza che sia all’altezza per cui, anche nel dialogo tra le diverse fedi religiose, si possano sviluppare la capacità di ascoltare e di accompagnare le persone che lì abiteranno. Sappiamo che a Mind c’è un grande ospedale come il “Galeazzi”, un luogo di cura dove è prevista la figura del cappellano, così come vi saranno i cappellani universitari per il polo dell’Università degli Studi. L’idea non è di mettere in campo una presenza secondo le modalità della consuetudine, ma di sfruttare una domanda che nasce da uno spazio nuovo per aprire un grande dibattito condiviso. Per questo lanceremo un’iniziativa nella MindWeek, in programma in maggio, per invitare tutti coloro che lo vogliono a immaginare forme, strumenti, luoghi, riti, persone che possano aiutare la fede cristiana a essere presente con la ricchezza della sua tradizione.
Montini, con il suo “Piano nuove chiese”, comprese che le periferie dovevano avere luoghi di culto. Quelli che spesso ancora oggi, in alcune di queste zone, ne rappresentano il cuore vitale e aggregativo. È questa la logica di una presenza ecclesiale in Mind?
La logica di partenza sicuramente è questa, sapendo però che Mind rappresenta davvero un’evoluzione nel modo di pensare le metropoli e, quindi, anche Milano. Non si tratta qui di una periferia, ma di un nuovo centro – dobbiamo imparare ad abitare in uno spazio urbano che ha molti centri – del quale imparare il linguaggio, così che l’umanesimo cristiano possa dialogare con le differenti culture lì presenti e rappresentate.
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