«Milano ha bisogno di sentirsi dire: Svegliati! Vivi!» Lo ha affermato l’Arcivescovo di Milano, concludendo la conferenza stampa con la quale è stato lanciato il Festival della Missione che si svolgerà nel capoluogo lombardo tra il 29 settembre e il 2 ottobre 2022.
«Milano ha vissuto un incubo durante la pandemia: il deserto per le strade, le attività produttive sospese, l’incubo di una povertà imminente. Ora vive ancora nell’incubo di essere in ritardo, come se un nemico la stesse inseguendo e la spingesse a correre! Ma i successi, la gloria, i soldi sono un miraggio. E così mentre ancora non si è risvegliata dall’incubo Milano è tentata di vivere di miraggi. Ma entrambi non sono la realtà – ha sottolineato l’Arcivescovo -. Serve qualcuno che dica svegliati, facendo percepire il gemito dell’infelicità del mondo, il cantico della sapienza dei popoli, il grido dei poveri. Il Festival della Missione è solo un evento, ma può svegliare Milano, incoraggiarla a vivere per il fuoco che lo spirito ha acceso nei secoli e continua ad ardere mettendo ardore nel cuore dei missionari. Questo fuoco deve ardere, suscitare slanci per accendere altro fuoco».
A tenere a battesimo il Festival sono intervenuti, insieme all’Arcivescovo, anche tre testimoni che con la loro vita ne interpretano il titolo «Vivere per dono»: Zakia Seddiki, attivista e moglie di Luca Attanasio, l’ambasciatore italiano nella Repubblica democratica del Congo assassinato lo scorso 22 febbraio; padre Christian Carlassare, religioso e missionario vicentino, vescovo di Rumbek (Sud Sudan), sopravvissuto a un attentato il 25 aprile 2021; padre Pier Luigi Maccalli, religioso e missionario della provincia di Crema, liberato dopo due anni di prigionia dai miliziani jihadisti che lo avevano rapito in Niger.
«Non sono il numero di anni di una vita che contano, ma la vita che c’è in quegli anni – ha detto Zakia Seddiki -. Luca ha dato senso alla sua vita e anche alla sua morte. Siamo tutti di passaggio, meglio rendere quello che ci è dato di vivere qualcosa di utile per gli altri. Abbiamo tutti una missione: la mia è vivere per le mie figlie ma anche per i bambini del mondo come io e mio marito avevamo sognato insieme».
«Durante la mia prigionia ho vissuto per due anni sempre all’aperto, nel deserto del Sahara dormivo su una stuoia per terra, bevevo acqua che sapeva di benzina, ma la più importante delle cose di cui ero privato era il non poter comunicare – ha detto padre Pierluigi Maccalli -. Ho sentito forte come siamo intessuti di relazione, siamo relazione. Proprio in quel periodo ho capito che missione è umanizzazione. È quello che ho cercato di fare anche durante la prigionia: umanizzare il rapporto con i giovani che mi tenevano in ostaggio, tenere un dialogo basilare, un’attenzione anche ai loro bisogni. Mentre andavo all’appuntamento per la liberazione, ho augurato al mio carceriere che un giorno Dio possa farci comprendere che siamo tutti fratelli, perché solo dalla fratellanza può nascere un mondo nuovo».
«Quando gli attentatori sono entrati nella mia stanza, ho sentito che la vita andava donata, qualunque cosa fosse successa – ha detto padre Christian Carlassare -. Quando mi sono risvegliato in ospedale, la prima parola è stata “perdono”. Mi è uscita dal cuore. E proprio quella parola mi ha liberato dalla paura e dal rancore. Mi ha dato libertà. Oggi desidero tornare in Sud Sudan, proprio perché credo che la mia esperienza possa aiutare questo popolo così diviso a superare la violenza e a vivere con responsabilità l’indipendenza che ha conquistato».
Benché manchi ancora poco meno di un anno al Festival, la macchina organizzativa si è già messa in moto per preparare il Prefestival che fino ad agosto 2022 anticiperà i temi che saranno al centro del Festival vero e proprio. In tutto il Paese, dal Trentino alla Sicilia passando dalla Lombardia, si terranno animazioni nelle scuole, laboratori, gemellaggi tra giovani italiani e coetanei che vivono in Africa, Asia, America Latina. Nelle università gli studenti lavoreranno sull’applicazione degli obiettivi fissati dall’Agenda 2030 nei Paesi del Sud del mondo grazie alle collaborazioni con i principali atenei italiani. Nelle parrocchie saranno aperti i “Cantieri Festival”, serie di incontri, conferenze, iniziative varie. In quattro differenti carceri, dal nord al Sud dell’Italia, si svolgeranno laboratori sulla giustizia riparativa. Nell’Arcidiocesi di Milano in alcuni monasteri si terranno veglie di preghiera.
Poi, dal 29 settembre al 2 ottobre 2022 si svolgerà il Festival vero e proprio. Per quattro giorni, in particolare nell’area delle Colonne di San Lorenzo, cuore della movida milanese, tra il Museo Diocesano e l’antica basilica, da mattina a sera ci saranno eventi, convegni, laboratori, presentazioni, contest, proiezioni di video e documentari, momenti di preghiera e anche una Ted conference.
Tra gli appuntamenti fissi, nelle varie giornate del Festival, l’Happy hour missionario, per conoscere in modo informale i protagonisti del mondo missionario consumando un aperitivo, e “Missio Today”, per informarsi e approfondire con giornalisti esperti di missione e Sud del mondo temi che solitamente non trovano visibilità nei media italiani.
Nel corso di queste giornate saranno presentati gli esiti dei progetti partiti nel periodo del Prefestival. Saranno inoltre allestiti bookshop curati dalle case editrici missionarie e stand gastronomici per gustare cibo proveniente da diverse zone del mondo. Troveranno spazio anche il gioco e l’intrattenimento grazie alla collaborazione del Centro Sportivo Italiano.
«Abbiamo pensato a un programma tanto nel Prefestival che nel Festival che fosse il più possibile coinvolgente, mixando linguaggi e format differenti, per raggiungere tutte le fasce di età e un pubblico vasto composto sia da chi già conosce il movimento missionario, ma anche da chi non ne sa nulla», sottolinea la direttrice artistica Lucia Capuzzi.
Un obiettivo confermato anche da Agostino Rigon, direttore generale del Festival: «Come promotori abbiamo avuto da subito ben chiaro questo obiettivo: ritornare sulla strada, incontrare la gente, uscire dai nostri templi, dalle nostre case, dai nostri recinti, e far sì che tutto questo non rimanesse limitato ai quattro giorni del Festival, ma che avesse un momento di preparazione e un proseguimento nel tempo, collegati al resto dell’animazione missionaria nazionale».