L’Inno santambrosiano della Chiesa indivisa, il “Deus creator omnium” cantato dalla Cappella musicale del Duomo che accompagna l’ingresso dei Ministri delle Chiese Cristiane di Milano, le parole di accoglienza e benvenuto, la predicazione, le melodie eseguite dal Coro della Chiesa Ortodossa Russa del Patriarcato di Mosca, tanta gente che sfida freddo e pioggia per riunirsi in preghiera.
Tutto, nel Tempio evangelico valdese di Milano parla di unità, concordia, fede condivisa. È la Celebrazione ecumenica della Parola alla quale partecipa anche l’Arcivescovo e con cui si conclude la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani promossa, nel capoluogo lombardo, dal Consiglio che, nella serata, ricorda anche i suoi 20 anni di fondazione.
«Voglio fare l’elogio per chi, con caparbietà, dato origine a questo tripudio di legami che permesso che ci potessimo riconoscere, nonostante ci fosse sfiducia dal “basso”, dalle Chiese locali e, talvolta, scetticismo “dall’alto”, nelle Istituzioni. Noi siamo i figli e le figlie di quelle donne e uomini che hanno sfidato una storia costruita su incomprensioni e odii reciproci», dice la pastora valdese, Daniela Di Carlo, cui fa eco la presidente del Consiglio delle Chiese, Sara Comparetti, che ripercorre brevemente la storia dell’organismo, nato 13 gennaio 1998 con la firma dello Statuto sottoscritto dalle 13 Chiese aderenti allora – ore divenute 19 – e che venne presentato alla città proprio nello stesso tempio valdese il 24 gennaio di due decenni fa. Ieri come oggi, non mancano alcuni protagonisti del lavoro di allora e degli anni che sarebbero venuti dopo, tra cui rappresentanti delle diverse Confessioni e monsignor Gianfranco Bottoni, responsabile, in quel tempo, del Servizio Diocesano per l’Ecumenismo e il Dialogo.
Spiega Comparetti: «L’anima dell’ecumenismo è capire che siamo membra di un unico corpo, chiamate a testimoniare, insieme, Cristo in modo credibile. Sappiamo bene che la comunione non è ancora piena, ma i cristiani di Milano si sono impegnati a riconoscere, nelle altre tradizioni, un tesoro».
Dal capitolo 8 della Lettera ai Romani, con le parole “Lo Spirito viene in aiuto delle nostre debolezze” che aveva guidato l’Ottavario del 1998 e che venne commentato, la sera del 24 gennaio dal cardinale Martini e dall’allora monsignor Ravasi, si avvia la riflessione dell’arcivescovo Delpini.
«Celebrare con emozione questi 20 anni, ci offre l’occasione di sentire la voce dello Spirito che ci incita a passare dal dire grazie per ciò che è stato, alla riconoscenza; a fare della gratitudine non solo una commemorazione, ma un incremento di conoscenza che moltiplica la gioia e incoraggia al futuro».
Tre le espressioni del brano paolino sottolineate dall’Arcivescovo: anzitutto, “non seguire la voce del nostro egoismo”. «Come è difficile interpretare la vicenda degli uomini e dei popoli e capire cosa sia successo nella divisione dei cristiani. Nell’incastro tra chi ha ragione e chi ha torto, non è possibile distinguere, perché non c’è soltanto l’egoismo delle singole persone che può avere motivato la divisione, ma una molteplicità di condizioni politiche, economiche, sociali. Tuttavia, Paolo ci dice di non continuare ad accanirci nella ricostruzione del passato come forma di apologia, ma di riconoscere che il peccato ha operato il male e che l’egoismo, in un impasto di fragilità, ha imprigionato lo Spirito, ha fatto prevalere una zavorra, un’incapacità a comprenderci. La Grazia ci suggerisce di metterci nell’umile atteggiamento di chiedere perdono gli uni e gli altri, riconoscendo che in questi ultimi 20 anni lo Spirito ha operato. Il seme della divisione è dentro di noi ed è insidioso, ma qui stiamo raccontando che l’egoismo può essere vinto e che la comunione, almeno parzialmente, è possibile».
«Come cristiani, docili allo Spirito che chiede conversione, dobbiamo dire a tutti che possiamo essere buoni vicini, lavorare insieme per il bene comune, chiamarci fratelli e sorelle in una convivenza che diventa speranza».
Poi, «il compito di farsi voce delle tanti uomini e donne che anche qui a Milano fanno fatica a farsi ascoltare. Abbiamo tutti bisogno di una particolare scuola di preghiera che nasce non solo dalle nostre tradizioni, ma dalle grida di dolore della gente del nostro tempo, non solo dalla bellezza del nostre Chiese, ma dalla povertà di chi ha fame, non solo dalla solennità delle nostre feste, ma anche dalle lacrime. Così possiamo imparare che tutto l’universo è percorso da un’impazienza che nasce dal grido “Abbà, Padre”». Anche perché – scandisce Delpini – il Consiglio delle Chiese «non è un salotto letterario, ma un incontrarsi per interpretare l’impazienza dell’universo, nell’interrogativo su come lavorare insieme per fare sentire accolti i poveri della città».
Infine, quei “sospiri” dello Spirito che non si possono spiegare a parole, come scrive l’Apostolo.
«Il cardinale Martini, facendo la sua Lectio proprio su questo testo, disse che stentava a capire, ma occorreva affidarsi. Oggi, a 20 anni di distanza, possiamo constatare che la sua intuizione era giusta: lo Spirito non ha fatto mancare il suo sostegno. Bisogna continuare a essere quello che siamo stati, raccogliendo l’eredità di padri e maestri, per vivere una riconoscenza che diventa speranza e proposito per il domani. Forse chi ha firmato lo Statuto e noi, voi, non potevano immaginare il percorso fatto, ma lo Spirito sì. Restate attenti a questo sospiro, lasciatevi guidare: tutti abbiamo bisogno di strumenti che ci aiutino a riconoscere il disegno di unità di Dio in una cultura che pare così frantumata. La divisione non sarà l’ultima parola, lo sarà la comunione».
Su Esodo 15, con il brano-guida della Settimana di quest’anno, “Potente è la tua mano, Signore” – interessante notare che Celebrazione conclusiva 2018, a Milano, porti un titolo che è la sintesi di Romani ed Esodo, appunto, “La nostra debolezza e la forza di Dio” –, si sofferma la predicazione del pastore valdese, Paolo Ricca. «Come è bella l’unità e come è bella la diversità, ma la Chiesa è radicalmente una. Chi è più potente: Dio che vuole l’unità o noi che perseveriamo nella divisione? In questi 20 anni abbiamo scoperto di avere lo stesso Dio e, allora, non ci vergogniamo di essere ancor divisi? Vorrei che Milano diventasse la capitale ecumenica d’Italia. Questo è l’augurio che faccio al Consiglio delle Chiese Cristiane».
Richiamando il testo del Profeta Ezechiele al capitolo 37 ed Evangelii Gaudium di papa Francesco, Ricca conclude: «La mano potente di Dio è la mano ecumenica. Dobbiamo lasciarci mettere dentro questa mano, diventare cristiani in cammino, arrivando alla perfetta statura di Cristo di cui parla Paolo. Nessuna Chiesa può rappresentare la pienezza. L’unità si farà quando ciascuno capirà che ha bisogno degli altri».
Così, poco dopo, la riflessione personale accompagnata da brani di organo, la professione di fede, la preghiera di intercessione proposta dalle diverse Chiese, il Padre Nostro recitato tenendosi per mano, lo scambio della pace e la benedizione impartita insieme da tutti i Ministri, divengono l’emblema, in questa consapevolezza, dell’inizio di un nuovo promettente cammino.