«Siamo qui a onorare il nostro patrono e a portare davanti all’altare del Signore le nostre preghiere, per interpretare i talenti e le speranze della gente che abita qui con la responsabilità di rappresentare tutti i milanesi, i lombardi e coloro che sono venuti nelle nostre terre da lontano». Si apre con questo auspicio, che diviene una consegna per i moltissimi fedeli che trovano posto dentro e fuori la basilica di Sant’Ambrogio, il Pontificale solenne presieduto dall’Arcivescovo. Come ogni anno, a Milano in queste ore e nel giorno della sua festa liturgica, tutto parla del santo vescovo, dottore della Chiesa indivisa, patrono della Diocesi e della città, Ambrogio. Ma soprattutto è nella basilica a lui dedicata che si fa presente la solennità del 7 dicembre nel rito – concelebrato da 5 vescovi, dall’abate monsignor Carlo Faccendini, da una trentina di altri sacerdoti tra cui membri del Cem, dei Capitoli del Duomo e di Sant’Ambrogio e l’Arciprete del Duomo – sottolineato dai 12 Kyrie ambrosiani, con l’Arcivescovo che, per l’occasione, siede sulla millenaria Cattedra marmorea di Ambrogio, sita al centro del Coro ligneo dell’abside. Dopo le Letture proprie del Santo, la proclamazione della vita, l’epistola paolina agli Efesini e la pagina del Buon pastore del Vangelo di Giovanni al capitolo 10, prende avvio l’omelia, una sorta di «immaginaria registrazione del dialogo aspro intercorso tra il lupo e il buon pastore».
L’omelia
Dice il lupo: «Io sono il principe di questa terra, nessuno può pascolare nella mia terra se non porta il marchio del padrone; io offro i pascoli migliori, divertimenti e ricchezze, ogni bene che è sotto il cielo. Perciò rapisco tutte le pecore, le seduco e le porto via». Risponde il pastore che è il Signore: «Il tuo regno, lupo feroce, è regno di morte. Tu accontenti ogni capriccio, ma non conosci il segreto della vita e della gioia. Chi ti segue, chi si fa rapire da te, va in rovina, mentre io offro la mia vita, io nutro con il pane di vita. Tu che rapisci le pecore, le privi della vita. Io le rendo partecipi della mia vita. Io non rapisco nessuno, ma chiamo tutti alla vita». Una vita che il lupo, rende piena di spavento con i suoi ululati. «Il mio grido di guerra semina terrore, mettendo una tale paura che ogni pecora fugge solitaria. Io divido, io convinco all’isolamento, io insinuo la persuasione che da soli è meglio che insieme». Parole che, tuttavia, non spaventano il pastore che torna a parlare del bene che vince. «L’amore è un legame più forte della paura e della morte. Le mie pecore ascoltano la mia voce perché è voce amica, discreta che più che minacciare castighi, promette la pace, la gioia, la vita. Ascolteranno la mia voce non per disciplina che costringe, ma per attrattiva che convince, non con la prepotenza che conquista, ma con la pazienza che edifica». In un crescendo, il dialogo rivela tutta la forza devastante del male, con il lupo, «che quando ha fame – e ne ha sempre – non si ferma di fronte a nulla, uccide e saccheggia», cui si oppone il buon pastore con il suo vincastro «che non è un’arma, ma il primo pezzo di legno per fare una croce». «Se hai fame, risparmia le mie pecore: prendi me, io mi sacrifico per loro. Io mi sacrifico anche per te lupo rapace. Quando mi avrai immerso nell’abisso della morte, io seminerò anche lì una scintilla di luce e persino anche la malvagità, l’avidità insaziabile, il potere arrogante potranno forse riconoscere l’inganno del male e restare affascinati dell’attrattiva dell’amore».
Il Buon pastore e i Pastori come Ambrogio
«Il dialogo del lupo e del Buon Pastore rivela il cuore di Gesù. Ma la liturgica illustra con questo confronto anche la figura di Ambrogio e dei santi pastori che sono uno solo nel Buon pastore . Può essere dunque che anche noi possiamo entrare in questa scena: non solo per temere il lupo, non solo per lasciarci commuovere dal buon pastore, ma per avere la nostra parte nel dramma e, chi sa?, imparare come imitare il buon pastore e, con mite umiltà, metterci a servizio dell’annuncio che il pane di vita è la medicina contro tutti i veleni di morte, metterci a servizio dell’amore che unisce, per contrastare l’egoismo che divide, metterci a servizio dell’amore che si sacrifica per il bene di coloro che amiamo».
La preghiera nella Cripta e la benedizione del presepe e del sagrato. Poi, al termine dell’Eucaristia, la preghiera a Sant’Ambrogio e le intercessioni recitate dall’Arcivescovo e dai Concelebranti, nella Cripta di fronte alle reliquie del Santo e dei martiri Gervaso e Protaso.
Infine, a suggellare una mattina piena di sole in tutti i sensi, la benedizione del suggestivo presepe, “Admirabile Signum. Nativity – Gesù pupilla di luce”, creazione lignea proveniente dalla Val Gardena degli scultori Filip Moroder Doss e Thomas Comploi, presenti all’inaugurazione. Visitabile fio a 9 gennaio 2022, nell’atrio di Ansperto della basilica, il presepe si compone di 7 gruppi di figure “dolomitiche” alte fino a 240 cm. e un peso complessivo di 1200 kg. Un manufatto che arricchisce “Sant’Ambrogio”, così come la riqualificazione definitiva del sagrato con l’eliminazione della barrire architettoniche all’ingresso della basilica.