Nel luogo della pur meritata gloria umana, il Famedio del Cimitero Monumentale dove sono incisi i nomi di coloro che hanno fatto grande Milano, «lasciamoci chiamare dalla gloria di Dio».
È questo che l’Arcivescovo chiede nella tradizionale Eucaristia del pomeriggio del 1° novembre, vigilia della ricorrenza dei defunti, da lui presieduta e concelebrata da alcuni frati Francescani Minori del vicino convento di Sant’Antonio, cappellani e affidatari del Cimitero. Tanti i fedeli riuniti per l’occasione sempre molto attesa, tra cui, in prima fila, l’assessora del Comune di Milano ai Servizi Civici e Generali, con competenza per i Servizi Funebri e Cimiteriali, Gaia Romani in rappresentanza del Sindaco, e la direttrice del “Monumentale”, Giovanna Colace.
L’omelia
«L’onore ai morti, l’ascolto della Parola, la festa di Tutti i Santi sono l’invito di Dio a smascherare il grande inganno che attraversa la nostra vita e che ha tre capitoli», osserva subito, nell’omelia, monsignor Delpini. In primis, l’inganno della disperazione, «per cui tutto è sempre contaminato dal dissolversi, anche ciò che, in un certo momento, appare pieno di splendore e non vi è nessuna gloria che non sia vittima del tempo, perché ciò che è vivo è destinato alla morte. La morte, una cosa sudicia e ripugnante».
Un inganno che, tuttavia, aggiunge il vescovo Mario, afferma tale presunzione «fondandosi sull’esperienza di una bellezza precaria, chiamando esperienza ciò che è solo la constatazione di ciò che si può vedere e fotografare, mentre la Prima lettura – appena proclamata -, tratta dal Libro dell’Apocalisse, presenta la moltitudine immensa segnata dal sigillo del Dio vivente e attesta, così, che c’è una morte che non vince. Il grande inganno ci vuole disperati, mentre la verità è la rivelazione della promessa su cui si fonda la speranza invincibile».
Poi, il secondo grande inganno, quello del destino della solitudine che ci attende, specie quando si è malati, tribolati, mortificati, quando la consolazione degli altri, anche i più vicini, «pare solo una parola di circostanza e sembra che Dio non si impegni a liberare dalla disperazione». Invece, Dio si rivela l’alleato fedele, scandisce l’Arcivescovo, e «nulla potrà mai separarci dall’amore di Dio in Gesù. Il grande inganno suggerisce di rassegnarsi alla solitudine, la verità, invece, è l’invito a pregare e a vivere in comunione con Gesù, che è sempre con noi, in un’intimità che nulla può compromettere, in una fedeltà che nulla può scoraggiare».
Infine, l’inganno della mondanità che suggerisce l’arte del saper “stare al mondo” secondo cui, per non avere fastidi, è necessario farsi amici i potenti e sfruttare al massimo il bel giardino che Dio ha regalato all’umanità». Insomma, l’inganno che ha come parole d’ordine quelle dello «sfruttare, sedurre, accumulare». «Per smascherare il grande inganno della mondanità, il Signore Gesù annuncia il Vangelo e offre la rivelazione della via della gioia. Perciò le sue prime parole alle folle proclamano le beatitudini che abbiamo ascoltato nel Vangelo di Matteo», conclude il vescovo Mario. «Beati, infatti, sono i poveri, i miti, gli assetati di giustizia, gli operatori di pace, i perseguitati per la loro fedeltà a Gesù. L’inganno dice che la via della gioia è il successo, il prestigio, la ricchezza: la verità dice che la via della gioia che non delude è la via della croce».
«Con questa celebrazione – ha concluso mons. Delpini – vogliamo ascoltare la voce della verità e reagire agli argomenti dello spirito della tristezza, proclamando la fede nella risurrezione, con la persuasione che non siamo imprigionati nella solitudine se ci apriamo a Gesù che è qui, presente nell’Eucaristia». Al termine della celebrazione, ancora un richiamo, prima di una breve sosta davanti alla lapide con incsi i nomi dei milanesi illustri scomparsi più recentemente: «Benedetti da Dio, siamo anche noi benedizione testimoniando la verità e visitando i nostri defunti».