«L’età dei bambini che utilizza il cellulare si sta sempre più abbassando», avverte il sociologo Francesco Pira, coautore del libro «Infanzia media e nuove tecnologie». Il volume è il frutto di una ricerca su 1.200 alunni di 4a e 5a elementare in tutt’Italia. Tra i dati emersi: il 61% degli intervistati dichiara di possedere un cellulare, che viene utilizzato per mandare sms, cercare gli amici, scaricare musica e, infine, inviare mms. La spesa mensile media è di 12 euro; il 63% dei bambini che ha il telefonino fa in media tra 1 e 3 chiamate al giorno e solo il 21% lo usa per più di 5 telefonate, mentre il 58% invia quotidianamente da 1 a 3 sms, il 21% da 3 a 5, il 13% da 6 a 10. Riguardo alle ore in cui l’apparecchio è in funzione, il 46% afferma di lasciarlo acceso tutto il giorno e il 31% anche la notte. Il ruolo decisivo dei genitori.
di Francesco Rossi
Sanno scrivere da poco, ma già usano il cellulare nelle sue molteplici funzioni. Sono i giovanissimi di oggi, che frequentano le elementari e nello zaino portano, assieme ai libri, l’ultimo modello di telefonino.
«L’età dei bambini che utilizza il cellulare si sta sempre più abbassando», avverte il sociologo Francesco Pira, docente di comunicazione pubblica e sociale e relazioni pubbliche all’Università di Udine, coautore del libro «Infanzia media e nuove tecnologie» (Franco Angeli, Milano 2007).
Il volume è il frutto di una ricerca su 1.200 alunni di 4a e 5a elementare in tutt’Italia. Tra i dati emersi: il 61% degli intervistati dichiara di possedere un cellulare, che viene utilizzato per mandare sms, cercare gli amici, scaricare musica e, infine, inviare mms.
La spesa mensile media è di 12 euro; il 63% dei bambini che ha il telefonino fa in media tra 1 e 3 chiamate al giorno e solo il 21% lo usa per più di 5 telefonate, mentre il 58% invia quotidianamente da 1 a 3 sms, il 21% da 3 a 5, il 13% da 6 a 10. Riguardo alle ore in cui l’apparecchio è in funzione, il 46% afferma di lasciarlo acceso tutto il giorno e il 31% anche la notte.
Perché la scelta di un target così giovane per affrontare la tematica dei cellulari?
L’indagine è stata condotta tra i primi consumatori di ricariche telefoniche, i ragazzi di 8 anni. E’ questa, infatti, l’età in cui oggi cominciano a nascere i problemi legati all’uso del cellulare. Le nuove generazioni sono digitali nativi, come le ha definite nella prefazione del volume il rettore dell’Università di Udine, Furio Honsell, cioè giovanissimi che sanno operare contemporaneamente su più fronti, maneggiando con naturalezza la tecnologia. Ed è la prima volta nella storia del progresso che sono proprio i bambini ad insegnare ai genitori, e non viceversa.
Cosa emerge dalla ricerca?
Abbiamo voluto fotografare la realtà sociale del nostro Paese, cercando di capire cosa sta cambiando nel tempo dei bambini: quanto ne occupano con i new media, quanto usano il cellulare o internet, quale uso fanno delle chat, quanto spazio vi è nella giornata per i libri piuttosto che per la televisione o i videogiochi. Emergono differenti problematicità regione per regione. I bambini siciliani e campani, ad esempio, sono ipertecnologici, mentre al capo opposto ci sono, paradossalmente, quelli veneti e friulani. Il telefonino viene vissuto come uno status symbol, e questo spiega la notevole diffusione al Sud. E’ vero che molti genitori lo giustificano con esigenze di sicurezza, ma questa motivazione crolla nel momento in cui si osserva che le ricariche fatte al Nord sono inferiori di quelle fatte al Centro e al Sud, segno che non lo usano solo per emergenza. Lo dimostra anche il fatto che gli stessi intervistati affermano di utilizzare quotidianamente mms e sms per comunicare con gli amici. Ma l’aspetto più saliente è che i bimbi dichiarino di essere sempre soli di fronte alla tecnologia. Vi è, pertanto, l’esigenza di mettere insieme istituzioni, mondo della scuola, famiglia, Chiesa, per capire quali sono le potenzialità dei nuovi strumenti.
A tal proposito, lei ha proposto un «patto sociale di corresponsabilità». Come declinarlo?
Non è difficile, basta imitare quanto avvenuto con successo in altri Paesi, ad esempio nel Nord Europa. C’è bisogno di una buona formazione permanente su questi temi, in un processo continuo che veda impegnati in primo luogo i genitori. Come mai in Danimarca i genitori sanno con che videogioco stanno giocando i loro figli, o quali funzionalità hanno i telefonini, e in Italia no? Qui da noi le ricariche telefoniche, che dovrebbero essere vendute solo agli adulti, le comprano anche i bambini, mentre per i videogiochi non c’è alcun controllo, permettendo così il diffondersi di giochi poco qualificanti. La soluzione sta nell’avere genitori più presenti, ma anche consapevoli della realtà e degli strumenti che utilizzano i loro figli.
Il cellulare diventa sempre di più un’appendice del proprio corpo. Si configura come una dipendenza a partire già dalla tenera età?
Sempre più bambini e giovani affermano che non rinuncerebbero mai al cellulare, e questa convinzione si rafforza con l’età. Di sicuro vi è una situazione simbiotica che assume i contorni di un fenomeno di massa. Ma la ricetta non è contrapporsi e proibire, quanto piuttosto prestare attenzione a come i giovani lo usano.
Dunque, non condivide la direttiva che vieta i cellulari a scuola?
Non credo che ci sia la necessità di una legge per regolare l’utilizzo dei cellulari a scuola. Il problema va ben oltre le ore di lezione e parte da una cattiva educazione, a cui bisogna rispondere con il buon senso.