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Speciale

L’Arcivescovo in Perù

Sirio 11 - 17 novembre 2024
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Perù/2

Mato Grosso, operazione carità

Nella seconda giornata trascorsa a Lima l’Arcivescovo e i suoi compagni di viaggio hanno visitato le opere curate dal movimento creato da padre Ugo De Censi, che si occupano di bambini, famiglie e malati

di Rosamaria (Operazione Mato Grosso)

18 Luglio 2024
In questa grafica la "galassia" delle strutture dell'Operazione Mato Grosso a Lima

Ieri abbiamo avuto il regalo della visita di monsignor Mario Delpini, don Maurizio Zago, don Franco Gallivanone e don Ambrogio Cortesi al Puericultorio e alla casa Guadalupe.

Tre parole per i bambini

Al Puericultorio ad accogliere gli ospiti si erano riuniti i 150 bambini della scuola elementare, ristrutturata all’interno dell’antica costruzione di adobes, dell’enorme centro per bambini con problemi familiari seri e casi di abbandono. Oltre al ramo di flores, d’obbligo per ogni visita qui in Perù, ci sono stati alcuni canti e cori di benvenuto, con i bambini pieni di entusiasmo e curiosità. Si è poi concluso con il canto Padre, maestro e amico, con gesti che anche l’Arcivescovo probabilmente conosceva. Tre sue parole – che ha detto ai bambini di non dimenticarsi mai – ci hanno accompagnato durante tutta la giornata;: alegría, compañía y Virgen María.

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Un cammino di carità

Siamo poi stati a visitare una delle 6 case-famiglia che dal 2018 stiamo cercando di aprire all’interno del Puericultorio, per dare un’educazione più naturale e affettuosa a ragazzini che arrivano da situazioni disperate e che solo l’amore può curare. Cristina Fumagalli (volontaria dell’Operazione Mato Grosso di Lecco) ha presentato il lavoro delle case, padre Alessandro e padre Giovanni hanno invece spiegato i due sogni di padre Ugo De Censi (fondatore dell’Operazione Mato Grosso): da un lato voler bene a questi bambini e dall’altro avere uno spazio all’interno del puericultorio che permetta ad altri ragazzi di Lima di iniziare un cammino di carità, come il gruppo Omg in Italia, lavorando per i più bisognosi, donando il proprio tempo e le proprie energie.

La facciata del Puericultorio

La struttura dell’Omg

È poi venuto il momento delle presentazioni. Eravamo una quarantina di volontari delle varie case Omg di Lima, non tutti della Diocesi di Milano. A Lima padre Ugo non aveva pensato di creare missioni vere e proprie, ma solo alcune case di servizio e di appoggio, nate con gli anni per diverse esigenze. A tutt’oggi sono infatti 4 le case di accoglienza, sia per i volontari, sia per le mamme in attesa (Casa Tirado, Casa Laura Vicuña, Casa Surquillo e Casa Argentina), sia per amici o benefattori e infine per sacerdoti o visitatori in genere.

Poi da 30 anni esiste anche Casa Guadalupe, per i malati delle nostre missioni che non possono essere curati sulla sierra. Per trovare lavoro e commerciare le opere dei ragazzi formati nei nostri talleres (laboratori) si è ritrutturata un’esposizione permanente a Barranco, dove sono in vendita prodotti artigianali (mobili, sculture, pietra, mosaico, vetro) e lavori di telaio, ricamo e maglia.

Molti dei ragazzi più cari a padre Ugo si sono trovati a un certo punto nella prospettiva di lasciare la sierra e andare a vivere a Lima per far studiare all’Università i propri figli: per questo motivo sono sorte Casa Santa Bernardita e Casa Argentina, due case-convitto con 30 ragazzi e altrettante ragazze per permettere loro di studiare in un ambiente formativo.

Accanto ai più piccoli

Nel 1993 ci è stato chiesto di prendere in mano un orfanatrofio a Ñaña e dal 2018 operiamo anche nel Puericultorio di Lima, con grande partecipazione nell’assistenza a questi bambini trascurati. Ultima attività: ad Ancón un nostro sacerdote ha avviato una scuola di musica per togliere gli adolescenti dalla strada e avvicinarli all’oratorio e a un ambiente formativo.

Il momento del pranzo comunitario

La testimonianza di Cortesi e l’invito di Delpini

Dopo aver ascoltato tutte le varie presentazioni è stata commovente la testimonianza di don Ambrogio Cortesi, che già ci aveva conosciuto e visitato una decina di anni fa e che ricorda ancora come l’abbia colpito la carità che cerchiamo di vivere e di trasmettere anche ai nostri ragazzi. Ci siamo ascoltati con estrema familiarità, raccontando aneddoti, ma anche confessando preoccupazioni.

Ha poi concluso l’Arcivescovo invitando a «non lamentarci», a non ripetere che tutto va male, perché lui vede ovunque pezzi di Chiesa vivi e sconosciuti, trova belle sorprese…  Ci ha poi donato l’immagine della Madunina del Duomo con la sua benedizione, chiedendoci di diventare anche noi benedizione per gli altri. È stato davvero un momento di intensa condivisione.

Ci siamo poi diretti alla Casa di Guadalupe, dove gli ospiti ci aspettavano con fiori e canti di benvenuto. La Casa ha 50 posti letto ed è sempre occupata da pazienti che qui sono accolti per il periodo necessario alle cure o alle visite mediche. Purtroppo è anche un luogo di sofferenza, perché molti malati sono in gravi condizioni.

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Il sacrificio di padre Daniele

Il centro della casa è la piccola cappella, che è stata mostrata all’Arcivescovo e agli altri visitatori. L’altare arriva da San Luis, l’ha portato la signora Elena e custodisce dal 1997 tre pietre con tracce del sangue di padre Daniele Badiali, un sacerdote di Faenza, ucciso a 35 anni, dopo essere stato rapito a scopo d’estorsione. Era la V domenica di Quaresima, stava preparando 200 bambini alla Prima Comunione, voleva lasciar loro un segno… Il Vangelo del giorno era Gv 12, 23: «Se il chicco di frumento non muore… chi vuole salvare la propia vita la perderà…». Sembrava tutto scritto.

L’altare della cappella

Padre Daniele era un caro figlio spirituale di padre Ugo, era sacerdote da 5 anni, voleva solo vivere per il Signore, servire la sua gente,i poveri, i ragazzi e aiutare padre De Censi. Da lui aveva assorbito un gran senso di vuoto, di nostalgia di Dio: era la sua croce. Quel giorno si è fatto dono. Nelle nostre case lo invochiamo come «martire della carità». Per la Chiesa ora è Servo di Dio.

L’altare ha le pietre, con il simbolo del pellicano e il frumento intagliato nel legno. Qui nella casa dei malati si fanno offerte, si prega, invocando il Padre implorando un abbraccio e a Maria una carezza nei giorni più duri.

In cappella tutti abbiamo cantato un commovente brano scritto dallo stesso padre Daniele: «Envíame, Jesús yo te seguiré, ayúdame a ti solo serviré, a Ti, mi Dios, defenderé, tener amor es sufrir por Ti Señor». Ha concluso l’Arcivescovo con un pensiero di consolazione e la sua benedizione.

Un sostegno nella malattia

Al refettorio tutti riuniti abbiamo ascoltato Marta Capra (di Montevecchia) che ha spiegato com’è strutturata la casa e la sua storia, e ha parlato dei volontari che sono passati da lì e che sono presenti ora. Commovente è stato poi l’intervento di una paziente, Viky, che oltre al benvenuto ha raccontato il significato della casa, dell’aiuto concreto nel sentirsi accolti in famiglia durante la malattia e anche l’aiuto spirituale che riceve. Ha poi chiesto agli ospiti di ricordarsi di pregare per tutti loro, che ne hanno davvero bisogno.

Ai sacerdoti è stato donato un astuccio ricamato dai pazienti con un rosario di nodi fatto da uno degli ospiti, come segno di vicinanza e di gratitudine. La mattinata è terminata recitando assieme il Padre nostro e con un saluto che aveva il segno della commozione reciproca.