Ieri abbiamo avuto il regalo della visita di monsignor Mario Delpini, don Maurizio Zago, don Franco Gallivanone e don Ambrogio Cortesi al Puericultorio e alla casa Guadalupe.
Tre parole per i bambini
Al Puericultorio ad accogliere gli ospiti si erano riuniti i 150 bambini della scuola elementare, ristrutturata all’interno dell’antica costruzione di adobes, dell’enorme centro per bambini con problemi familiari seri e casi di abbandono. Oltre al ramo di flores, d’obbligo per ogni visita qui in Perù, ci sono stati alcuni canti e cori di benvenuto, con i bambini pieni di entusiasmo e curiosità. Si è poi concluso con il canto Padre, maestro e amico, con gesti che anche l’Arcivescovo probabilmente conosceva. Tre sue parole – che ha detto ai bambini di non dimenticarsi mai – ci hanno accompagnato durante tutta la giornata;: alegría, compañía y Virgen María.
Un cammino di carità
Siamo poi stati a visitare una delle 6 case-famiglia che dal 2018 stiamo cercando di aprire all’interno del Puericultorio, per dare un’educazione più naturale e affettuosa a ragazzini che arrivano da situazioni disperate e che solo l’amore può curare. Cristina Fumagalli (volontaria dell’Operazione Mato Grosso di Lecco) ha presentato il lavoro delle case, padre Alessandro e padre Giovanni hanno invece spiegato i due sogni di padre Ugo De Censi (fondatore dell’Operazione Mato Grosso): da un lato voler bene a questi bambini e dall’altro avere uno spazio all’interno del puericultorio che permetta ad altri ragazzi di Lima di iniziare un cammino di carità, come il gruppo Omg in Italia, lavorando per i più bisognosi, donando il proprio tempo e le proprie energie.
La struttura dell’Omg
È poi venuto il momento delle presentazioni. Eravamo una quarantina di volontari delle varie case Omg di Lima, non tutti della Diocesi di Milano. A Lima padre Ugo non aveva pensato di creare missioni vere e proprie, ma solo alcune case di servizio e di appoggio, nate con gli anni per diverse esigenze. A tutt’oggi sono infatti 4 le case di accoglienza, sia per i volontari, sia per le mamme in attesa (Casa Tirado, Casa Laura Vicuña, Casa Surquillo e Casa Argentina), sia per amici o benefattori e infine per sacerdoti o visitatori in genere.
Poi da 30 anni esiste anche Casa Guadalupe, per i malati delle nostre missioni che non possono essere curati sulla sierra. Per trovare lavoro e commerciare le opere dei ragazzi formati nei nostri talleres (laboratori) si è ritrutturata un’esposizione permanente a Barranco, dove sono in vendita prodotti artigianali (mobili, sculture, pietra, mosaico, vetro) e lavori di telaio, ricamo e maglia.
Molti dei ragazzi più cari a padre Ugo si sono trovati a un certo punto nella prospettiva di lasciare la sierra e andare a vivere a Lima per far studiare all’Università i propri figli: per questo motivo sono sorte Casa Santa Bernardita e Casa Argentina, due case-convitto con 30 ragazzi e altrettante ragazze per permettere loro di studiare in un ambiente formativo.
Accanto ai più piccoli
Nel 1993 ci è stato chiesto di prendere in mano un orfanatrofio a Ñaña e dal 2018 operiamo anche nel Puericultorio di Lima, con grande partecipazione nell’assistenza a questi bambini trascurati. Ultima attività: ad Ancón un nostro sacerdote ha avviato una scuola di musica per togliere gli adolescenti dalla strada e avvicinarli all’oratorio e a un ambiente formativo.
La testimonianza di Cortesi e l’invito di Delpini
Dopo aver ascoltato tutte le varie presentazioni è stata commovente la testimonianza di don Ambrogio Cortesi, che già ci aveva conosciuto e visitato una decina di anni fa e che ricorda ancora come l’abbia colpito la carità che cerchiamo di vivere e di trasmettere anche ai nostri ragazzi. Ci siamo ascoltati con estrema familiarità, raccontando aneddoti, ma anche confessando preoccupazioni.
Ha poi concluso l’Arcivescovo invitando a «non lamentarci», a non ripetere che tutto va male, perché lui vede ovunque pezzi di Chiesa vivi e sconosciuti, trova belle sorprese… Ci ha poi donato l’immagine della Madunina del Duomo con la sua benedizione, chiedendoci di diventare anche noi benedizione per gli altri. È stato davvero un momento di intensa condivisione.
Ci siamo poi diretti alla Casa di Guadalupe, dove gli ospiti ci aspettavano con fiori e canti di benvenuto. La Casa ha 50 posti letto ed è sempre occupata da pazienti che qui sono accolti per il periodo necessario alle cure o alle visite mediche. Purtroppo è anche un luogo di sofferenza, perché molti malati sono in gravi condizioni.
Il sacrificio di padre Daniele
Il centro della casa è la piccola cappella, che è stata mostrata all’Arcivescovo e agli altri visitatori. L’altare arriva da San Luis, l’ha portato la signora Elena e custodisce dal 1997 tre pietre con tracce del sangue di padre Daniele Badiali, un sacerdote di Faenza, ucciso a 35 anni, dopo essere stato rapito a scopo d’estorsione. Era la V domenica di Quaresima, stava preparando 200 bambini alla Prima Comunione, voleva lasciar loro un segno… Il Vangelo del giorno era Gv 12, 23: «Se il chicco di frumento non muore… chi vuole salvare la propia vita la perderà…». Sembrava tutto scritto.
Padre Daniele era un caro figlio spirituale di padre Ugo, era sacerdote da 5 anni, voleva solo vivere per il Signore, servire la sua gente,i poveri, i ragazzi e aiutare padre De Censi. Da lui aveva assorbito un gran senso di vuoto, di nostalgia di Dio: era la sua croce. Quel giorno si è fatto dono. Nelle nostre case lo invochiamo come «martire della carità». Per la Chiesa ora è Servo di Dio.
L’altare ha le pietre, con il simbolo del pellicano e il frumento intagliato nel legno. Qui nella casa dei malati si fanno offerte, si prega, invocando il Padre implorando un abbraccio e a Maria una carezza nei giorni più duri.
In cappella tutti abbiamo cantato un commovente brano scritto dallo stesso padre Daniele: «Envíame, Jesús yo te seguiré, ayúdame a ti solo serviré, a Ti, mi Dios, defenderé, tener amor es sufrir por Ti Señor». Ha concluso l’Arcivescovo con un pensiero di consolazione e la sua benedizione.
Un sostegno nella malattia
Al refettorio tutti riuniti abbiamo ascoltato Marta Capra (di Montevecchia) che ha spiegato com’è strutturata la casa e la sua storia, e ha parlato dei volontari che sono passati da lì e che sono presenti ora. Commovente è stato poi l’intervento di una paziente, Viky, che oltre al benvenuto ha raccontato il significato della casa, dell’aiuto concreto nel sentirsi accolti in famiglia durante la malattia e anche l’aiuto spirituale che riceve. Ha poi chiesto agli ospiti di ricordarsi di pregare per tutti loro, che ne hanno davvero bisogno.
Ai sacerdoti è stato donato un astuccio ricamato dai pazienti con un rosario di nodi fatto da uno degli ospiti, come segno di vicinanza e di gratitudine. La mattinata è terminata recitando assieme il Padre nostro e con un saluto che aveva il segno della commozione reciproca.